Tempo di lettura: 5 minuti

a cura della redazione*
Purtroppo le cose stanno finendo proprio come l’MPS aveva temuto e denunciato fin dall’inizio: la fissazione di un salario minimo a livelli tali che, lungi dal rappresentare uno strumento di lotta contro il dumping salariale, rappresenterà invece un potente strumento di promozione del dumping stesso. Il salario mediano in Ticino per tutte le categorie di salariati (da quelli senza mansioni direttive a quelli con mansioni direttive) corrisponde a 5’485 franchi mensili. Se ci limitiamo a quello relativo ai salariati senza funzioni direttive ci attestiamo a 4’640 franchi mensili (cioè 55’820 franchi annuali, dato che i salari mediani standardizzati sono calcolati sul 12 mensilità, includendo la parte di 13a). Ricordiamo che i salari mediani dividono esattamente a metà la popolazione salariata rispetto a quella mediana: metà sopra e metà sotto. Per fare sì che il discorso e queste cifre possano essere capite da tutti i cittadini e le cittadine (che sono nella stragrande maggioranza dei salariati) è necessario riportare i confronti a quelli che è lo standard classico con il quale viene enunciato e pagato il salario: e cioè quello di un salario mensile per 13 volte. Un muratore, un bancario, un postino, un ferroviere, un docente: tutti costoro quando indicano il salario mensile lo riferiscono infatti a 13 mensilità. Questo significa che il salario mediano effettivo, riconducibile a 13 mensilità, è di 4’283 franchi. Possiamo quindi affermare che metà della popolazione salariata in Ticino percepisce un salario inferiore a questo livello, l’altra metà è al di sopra.
Alla luce di queste considerazioni il salario minimo proposto (che si situa tra 3’372 e 3’462 franchi mensili e che corrisponde ad un salario, calcola come consuetudine su 13 mensilità, oscillante tra i 3’112 franchi e i 3’195 franchi) è di quasi il 30% inferiore al salario mediano (su 13 mensilità) dei lavoratori senza ruoli direttivi (4’283 come indicato qui sopra). A nessuno sfuggirà che tale salario non potrà che contribuire potentemente ad un’ulteriore spinta verso il basso di tutto il sistema salariale, attratto da un salario minimo così basso rispetto ai salari effettivamente versati.
Da questo punto di vista l’instaurazione di un salario minimo di questo tipo rientra purtroppo a pieno titolo nelle cosiddette misure di accompagnamento che avrebbero dovuto combattere il dumping salariale; ma che, come non ci siamo stancati di sottolineare da anni, di fatto favoriscono il dumping e ne “accompagnano” lo sviluppo.
Proprio per questo l’MPS ha sempre sostenuto che non possa essere accettato un salario minimo legale inferiore ai 52’000 franchi annui (4’000 franchi per 13 mensilità). Proposta che avevamo consegnato in un’iniziativa popolare già nel 2007 quando gli attuali «combattenti» della lotta al dumping dormivano sonni tranquilli, convinti che le misure di accompagnamento ci avrebbero protetti dal dumping; iniziativa che il Gran Consiglio ha pensato bene di dichiarare irricevibile.
Si trattava di una proposta in sintonia con la stratificazione salariale della grande maggioranza dei salariati e che avrebbe evitato una pressione verso il basso come invece rischiano di fare gli attuali livelli salariali attorno ai quali ruotano le proposte sul salario minimo. Solo a questi livelli si potrà discutere seriamente e senza dover arrossire dalla vergogna di un salario «dignitoso»; senza dimenticare che un salario minimo legale è, per l’appunto, legale: cioè è un salario che chiunque deve accettare perché legalmente valido. E allora, di che dignità e legalità si può parlare di fronte a proposte salariali che si situano attorno ai 40’000 franchi annui per un lavoro a tempo pieno?
Il salario minimo proposto rappresenta poi un negativo elemento di netta continuità con provvedimenti simili adottati da precedenti governi, nel quadro dell’attività della commissione tripartita, attraverso la
promulgazione di contratti normali di lavoro con salari minimi legali obbligatori per alcune categorie (estetiste, personale piccoli commerci, etc.). Tutti salari minimi che ruotano attorno ai 3’000 franchi mensili: una vera e propria legalizzazione di salari da fame, salari con i quali nessun lavoratore e lavoratrice può degnamente vivere in Ticino.
Ora questa legalizzazione della miseria segna un ulteriore passo con la fissazione di un salario minimo legale legittimato proprio da questo suo carattere di universalità. Oltre alle ricadute salariali alle quali abbiamo accennato, val la pena ricordare le negative ricadute sociali. Pensiamo, ad esempio, quale effetto potrà avere sui salari dei disoccupati alla ricerca di un nuovo posto di lavoro la proposta di salari così bassi, ma legittimi perché legali. Un disoccupato che avesse guadagnato, come normale impiegato prima di rimanere senza lavoro, un salario mensile di 4’500-5’000 franchi al mese, dovrebbe ora accettare qualsiasi proposta che gli venisse offerta e che rispettasse un salario minimo di 3’000-3’100 franchi mensili. Se rifiutasse si troverebbe pesantemente sanzionato. Risulta a tutti chiaro che simili dinamiche non potranno che avere ripercussioni negative sull’intera struttura salariale.
La responsabilità di questa scelta va, evidentemente, addossata al governo che ha accolto in pieno le tesi padronali fissando il limite più basso tra quelli in discussione.
Resta tuttavia il fatto che la proposta stessa (così come altre iniziative simili adottate in qualche altro cantone) era portatrice, fin dall’inizio, di un esito di questo tipo, proprio perché, nella sua formulazione, non avanzava nessun salario di riferimento, limitandosi al concetto di salario “dignitoso” ed accettando l’idea che questo dovesse essere fissato sulla base di cosiddetti parametri “sociali”.
Inoltre la fissazione, nel testo dell’iniziativa, del salario minimo per categorie o settori e del principio di una percentuale rispetto al salario mediano nazionale di settore ha consegnato al governo (e al Parlamento) potenti strumenti per partorire la soluzione odierna. E l’orientamento in materia salariale del (dei) governo (governi) è sempre stato abbastanza chiaro anche in passato e non certo favorevole ai salariati.
Le cose non sarebbero differenti nemmeno se il governo avesse scelto una variante più “generosa” (3’400-3’500 franchi): rispetto alle possibili influenze negative sulle dinamiche salariali (alle quali abbiamo accennato qui sopra) non vi è di fatto differenza sostanzialmente importante.
Così pure appaiono deboli le posizioni di chi, pur consentendo sul fatto che simili livelli salariali sono comunque inadeguati, si schiera a favore del salario proposto, ritenendolo comunque “un passo avanti”, in particolare per correggere quelle distorsioni, quei casi scandalosi che, sempre più spesso, vengono denunciati (salari di 1’000 o 2’000 franchi mensili). Una posizione che di fatto rafforza la decisione del governo che può vantarsi, anche con un salario minimo legale come quello presentato, di poter concorrere ad eliminare tali casi limite. E rafforzerà la posizione del padronato che riduce la questione del salario minimo alla semplice necessità di affrontare i casi di abuso salariale.
Infine, al di là della critica sui livelli salariali proposti, resta intatta e inaffrontata la questione dei controlli sui quali il controprogetto fatto approvare da governo e parlamento in votazione popolare, in alternativa alla iniziativa dell’MPS, resta a tutt’oggi in gran parte irrealizzato. Un’inadeguatezza che non potrà che aumentare in modo esponenziale con la messa in vigore di un salario minimo legale di riferimento. Da questo punto di vista il messaggio non porta proposte e soluzioni che permettano di fare un salto di qualità decisivo.
Sorprende poi che tale proposta venga considerata un “compromesso” tra le posizioni padronali e quelle sindacali. Speriamo che le organizzazioni sindacali, almeno quelle ancora degne di tal nome, abbiano una reazione forte rispetto a questa scellerata e inaccettabile proposta.

* Presa di posizione del MPS sul Messaggio del Consiglio di Stato relativo alla nuova Legge sul salario minimo per applicare l’iniziativa dei Verdi “Salviamo il lavoro in Ticino”