La potenza burocratica di Unia

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Lo “scandalo” sul patrimonio milionario di Unia viene utilizzato dalla borghesia per gettare fango sulle organizzazioni sindacali. La sinistra, a sua volta, cerca disperatamente di giustificare l’esistenza di simili ingenti patrimoni. Tuttavia, ciò che c’è di veramente interessante nella divulgazione dei conti di Unia è la possibilità di comprendere aspetti fondamentali del funzionamento di una burocrazia sindacale.

Unia è ogni probabilità l’organizzazione politica più potente finanziariamente in Svizzera – più potente di tutti i partiti, delle associazioni economiche e delle ONG“. Questo titolo del Tages-Anzeiger circola con insistenza fin dal 13 settembre 2021, quando si è saputo pubblicamente che Unia è un sindacato molto ricco.

L’intera faccenda è diventata pubblica solo perché Unia ha ricorso contro la propria notifica di tassazione relativa al 2018, con una continuazione della procedura, conclusasi fino ad una sentenza del Tribunale Federale; nell’ambito della procedura ha di fatto dovuto rendere pubblica la propria situazione patrimoniale fino ad allora accessibile solo a 129 delegati all’assemblea nazionale dei delegati. Nello sviluppo della vertenza giudiziaria (e infine attraverso la pubblicazione della sentenza) l’opinione pubblica ha così preso conoscenza che il patrimonio complessivo di Unia è molto più grande di quanto finora si era pensato.

Con i suoi 1’200 dipendenti e 180’000 membri, Unia controlla società (ad esempio società immobiliari), possiede partecipazioni in alberghi e una tipografia, oltre ad avere il controllo su una propria fondazione.[1] A seconda di come si considera la sua appartenenza diretta al sindacato, il patrimonio totale – insieme a quello della Fondazione Unia, che possiede soprattutto immobili – è stimato tra il mezzo miliardo (WOZ) e un intero miliardo (Blick) di franchi svizzeri.[2] Il patrimonio netto dichiarato ammonta a 457 milioni di franchi.

La pubblicazione di questi dati ha messo la direzione di Unia in una situazione difficile. All’inizio essa ha tentato di impedire la piena divulgazione delle cifre. Serge Gnos, capo della comunicazione e burocrate in ascesa nella gerarchia di Unia dal 2007, ha giustificato la segretezza delle cifre sul Tages-Anzeiger, affermando che il patrimonio di Unia corrisponde anche al suo fondo di sciopero. A causa della pressione pubblica e del rischio di perdere la faccia come organizzazione che normalmente sostiene la trasparenza sulle questioni finanziarie e patrimoniali, la direzione è stata alla fine costretta a rivelare completamente i suoi conti all’inizio di ottobre 2021.

L’argomentazione iniziale secondo cui le aziende non dovrebbero avere accesso ai conti di un sindacato perché permetterebbe loro di stimare, ad esempio, per quanto tempo un sindacato sarebbe in grado di sostenere uno sciopero, è di per sé corretta. Appare tuttavia ridicola visto che di scioperi in Svizzera non ne avvengono quasi mai e che Unia in particolare – nonostante le assicurazioni del contrario da parte della direzione – appare tutt’altro che un’organizzazione che continuamente organizza scioperi e attività militanti. Al contrario, Unia appare come il sindacato più burocratizzato all’interno delle federazioni dell’Unione Sindacale Svizzera (USS) se non altro perché è quello che ha più da perdere.

Come si finanzia Unia?

La divulgazione della situazione patrimoniale di Una ha almeno portato un po’ di chiarezza su come Unia si finanzia effettivamente (per esempio, con le entrate degli affitti dei propri immobili e con gli interessi derivanti dagli investimenti di capitale) e ha confutato la favola, sempre raccontata dalla direzione, che il sindacato si finanzierebbe esclusivamente attraverso le quote pagate dai membri. Il sindacato ha anche ammesso che una parte dei contributi pubblici versati alla Cassa Disoccupazione di Unia vengono utilizzati per finanziare altre attività. Resta tuttavia poco chiara una delle fonti centrali di finanziamento di Unia: cioè le importanti somme di denaro che i “partner sociali” ricevono nell’ambito della gestione dei contratti collettivi di lavoro (CCL).

Nei settori nei quali vige un CCL, i salariati e le imprese sono obbligati a versare un cosiddetto contributo professionale per i costi di applicazione del CCL. Questi contributi vengono versati a una Commissione paritetica (CP) che ha anche il compito di amministrarli. La commissione è composta da rappresentanti delle associazioni dei datori di lavoro e dei sindacati e utilizza parte dei contributi per tre tipi di attività: in primo luogo, l’applicazione del CCL (ad esempio, i controlli sui luoghi di lavoro e nelle imprese per verificare che le disposizioni contrattuali siano rispettate); in secondo luogo, organizzando programmi di formazione e perfezionamento professionali rivolti ai lavoratori del settore di competenza del CCL; in terzo luogo, i costi amministrativi per il funzionamento della stessa commissione. I primi due compiti sono attuati dalle associazioni dei datori di lavoro e dai sindacati. Per questo una parte sostanziale del denaro versato fluisce quindi direttamente nelle casse di associazioni padronali e sindacali. [3]

Tuttavia, le finanze delle CP e i flussi di denaro concreti sono solo parzialmente di pubblico dominio. [4] Nel 2018, il parlamentare UDC Thomas Aeschi, consulente aziendale che, evidentemente, non solo politicamente ma anche professionalmente si oppone alle organizzazioni sindacali, ha pubblicato alcuni calcoli relativi ai CCL, tra l’altro dichiarati di obbligatorietà generale, dell’industria alberghiera e della ristorazione e del settore principale della costruzione. È giunto alla conclusione che le CP di questi due CCL abbiano incassato qualcosa come circa 65,6 milioni di franchi nel 2016 e che 16,8 milioni di franchi sono stati trasferiti direttamente ai partner sociali. La NZZ ha calcolato, nel settembre 2021, che nel 2019 le CP dei quasi 600 CCL esistenti in Svizzera abbiano incassato circa 233 milioni di franchi, di cui almeno un quarto è probabilmente finito nelle casse delle organizzazioni padronali e sindacali.

Nelle cifre pubblicate l’8 ottobre 2021, Unia indica l’ammontare dei finanziamenti pubblici alla propria Cassa Disoccupazione (50 milioni) e dei contributi provenienti dalle CP (30 milioni) per il 2020: un totale di 80 milioni di franchi rispetto ai 58 milioni di franchi incassati con le quote pagate dai membri iscritti. Quanto degli 80 milioni rimarrà dopo che i sussidi di disoccupazione saranno stati pagati e i costi di implementazione del CCL saranno stati dedotti, non è ancora chiaro.

Ciò che è chiaro, tuttavia, è che i sindacati finanziano sé stessi e le loro strutture in misura non trascurabile attraverso il sistema dei contratti collettivi e i relativi fondi delle commissioni paritetiche.  Per questo hanno poco senso tutte quelle risoluzioni, come quella approvata dai delegati di Unia al Congresso di giugno 2021, nelle quali ci si pronuncia a favore della “fine del partenariato sociale“. Le speranze che alcuni esponenti della sinistra sindacale hanno riposto in questa proposta svaniranno nel nulla. Unia e i suoi esponenti non sono sostenitori del partenariato sociale non solo per la loro mancanza di radicalità politica, ma perché da esso dipende la sopravvivenza dell’apparato sindacale e quindi il loro lavoro. I beni sotto forma di azioni e obbligazioni, i beni immobili e, soprattutto, i contratti collettivi sono la base materiale della burocrazia sindacale.

La natura della burocrazia nelle organizzazioni dei lavoratori

L’emergere di una burocrazia, cioè di un governo dell’amministrazione (in opposizione a un governo dei membri), all’interno delle organizzazioni sindacali è radicato in un paradosso che il teorico marxista Ernest Mandel chiama “la dialettica delle conquiste parziali“[5]. Non appena un’organizzazione operaia, sia essa un partito o un sindacato, raggiunge un progresso parziale verso il miglioramento della vita (lavorativa) dei salariati, acquista di conseguenza un interesse a difendere questa conquista. Così, in tutte le occasioni successive nelle quali si presenta la possibilità di un miglioramento (ad esempio in occasione dei rinnovi dei contratti collettivi di lavoro), l’organizzazione tenderà ad evitare qualsia posizione eccessivamente rischiosa, tale da mettere in pericolo i progressi ottenuti in caso di una possibile sconfitta. Così, ogni miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita ottenuto, comporta di fatto anche una dimensione conservatrice.

Burocratizzazione dell’apparato e dei segretariati

La dialettica delle conquiste parziali porta alla burocratizzazione sia dal punto di vista organizzativo che da quello del personale. L’organizzazione, in particolare una volta raggiunti progressi concreti, pone poi la sopravvivenza del suo apparato al di sopra degli interessi immediati dei suoi membri, perché la continuazione dell’apparato è la condizione per il mantenimento dei progressi raggiunti. Proprio su questa base anche i migliori militanti di classe che hanno trovato spazio all’interno delle strutture dell’organizzazione cominciano a sviluppare un feticismo organizzativo e a difendere l’apparato perché esso è, a sua volta, il garante dei loro posti di lavoro.

Bernard Degen, storico svizzero ed esperto del movimento operaio, faceva giustamente notare in un recente articolo sulla WOZ che il patrimonio di Unia non viene dal nulla, ma si è accumulato a partire dal 19° secolo. Questo anche perché una delle funzioni centrali di ogni sindacato – almeno fino al dopoguerra – era quella di assumere il ruolo di assicurazione collettiva in caso di disoccupazione e perdita di salario in caso di sciopero. Inoltre, le organizzazioni sindacali, dato che hanno investito il loro patrimonio in gran parte in immobili (nei quali sono ospitati anche i segretariati sindacali), hanno visto aumentare per decenni il valore di questo patrimonio immobiliare.

Unia non è forte perché ha un grande apparato burocratico. Il vero potere sindacale è definito dall’equilibrio di potere sui luoghi di lavoro.

In questo senso, i fondi di Unia sono sicuramente spiegabili nella loro entità, come fa con molto zelo la WOZ, e sicuramente la campagna della stampa e dei partiti borghesi (e in particolare del PLRT) sono sicuramente un’operazione politica contro le organizzazioni sindacali in quanto tali e Unia in particolare. Allo stesso tempo, tuttavia, appare chiaro che la crescita del patrimonio di Unia ha contribuito non solo a rafforzare le sue strutture, ma anche la loro dimensioni burocratiche. Dopo tutto, più proprietà c’è da gestire, più vi sono posti di lavoro legati ad essa; più grande è il patrimonio, più vi è, oggettivamente, da perdere!

I contenuti dei contratti collettivi come “conquiste parziali” corrispondono alle fondamenta, per così dire, morbide; i beni in contanti, gli immobili e i proventi dei fondi paritetici e quelli proveniente dall’assicurazione contro la disoccupazione corrispondono alle fondamenta dure della burocratizzazione di Unia. Il progetto Unia 2.0, attualmente in discussione, che prevede una maggiore voce in capitolo per la base del sindacato, non cambierà certo la situazione. Questi vincoli materiali sono sempre più forti della volontà di qualsiasi segretario che, animato dalle migliori intenzioni, volesse difendere le preoccupazioni dei salariati.

Reclutamento di nuovi funzionari

Ma chi sono queste persone che, per finire, tendono a riprodurre la burocrazia nel sindacato, magari animati dalle migliori intenzioni e con l’obiettivo di democratizzare l’apparato e imporre una linea più militante?

Il movimento sindacale svizzero recluta i propri funzionari fondamentalmente in tre ambienti sociali. In primo luogo, vi sono le strutture dei partiti socialdemocratici e le ONG a loro vicine che sono sempre state una fonte importante di reclutamento di funzionari, abbastanza politicizzati e abituati alle manovre tecnocratiche. In secondo luogo, la burocrazia si riproduce tra i salariati che, essendo stati “promossi” dal loro posto di lavoro alla condizione di funzionario sindacale, vogliono evitare a tutti i costi un ritorno alla loro precedente condizione lavorativa (sia essa di tipo impiegatizio o su un cantiere) e quindi tendono costantemente ad allinearsi alle posizioni della direzione. In terzo luogo, in particolare negli ultimi 15 anni, sono gli istituti di scienze politiche e sociologia delle università svizzere ad aver costituito uno dei maggiori serbatoi di reclutamento grazie a studenti intelligenti, ma con prospettive di lavoro precarie.

Già nel 2005, cioè poco dopo la sua fondazione, Unia ha cercato di reinventarsi importando nuovi metodi di organizzazione dagli USA. I metodi “dal basso“, originariamente sviluppati dai sindacalisti di base che volevano trasformare di nuovo i salariati in lavoratori, sono stati attuati in questo paese dall’alto e con una logica burocratica. L’obiettivo principale era quello di fermare l’emorragia di membri, che aveva messo in pericolo il potere contrattuale dei sindacati verso la fine degli anni ’90.

Per raggiungere questo obiettivo si è proceduto a scindere il lavoro del segretario sindacale che, in passato, oltre a reclutare nuovi membri, si occupava di loro, offrendo supporto legale e cercando di attivarli dal punto di vista politico. La nuova concezione si è orientata sulla divisione dei ruoli: reclutatore o organizzatore.  Il primo ha come obiettivo fondamentale, per la maggior parte del proprio tempo, il reclutamento di nuovi membri: una sorta di impiegato di Corris (un’organizzazione che raccoglie fondi per associazioni di pubblica utilità NdT); per questo nessuno è rimasto sorpreso più di quel tanto quando Unia ha effettivamente esternalizzato l’attività di reclutamento affidandola proprio a Corris.  Il secondo è responsabile dell’attuazione delle campagne politiche decise dall’alto e del coinvolgimento dei membri in queste campagne. I laureati sono abbastanza adatti per entrambi i compiti. A causa della mancanza di opportunità di carriera in altre aziende, tendono ad accettare le strutture gerarchiche della burocrazia. Tuttavia, questa forma di campagning politico raramente riesce a costruire un reale rapporto di fiducia con i lavoratori e a garantire una presenza costante sui luoghi di lavoro.

La realizzazione del partenariato sociale in Svizzera

L’espansione della burocrazia sindacale e il consolidamento di una politica sindacale basata sul partenariato sociale sono andate e vanno di pari passo. Tuttavia, l’interazione è sempre anche il risultato di sviluppi storici concreti. L’inizio di un partenariato sociale straordinariamente forte in Svizzera è generalmente fatto risalire al 1937. Nel corso del 1937 ci fu un movimento a sostegno di rivendicazioni salariali nella più grande fabbrica dell’industria delle macchine del paese – la Sulzer di Winterthur – al quale padroni e direzioni sindacali riuscirono a porre termine solo grazie alla massiccia pressione della direzione dell’azienda, alla ripetizione di alcune votazioni relative alla decisione di scioperare e, per finire, al tradimento diretto della direzione nazionale del sindacato dei metalmeccanici (FOMO) e del suo segretario centrale Konrad Ilg. Il risultato fu il famoso “accordo di pace” nell’industria metallurgica e metalmeccanica svizzera, che, da allora in poi, proibì il ricorso a qualsiasi misura di lotta da parte dei lavoratori [6].

Tuttavia, quell’accordo di pace non rappresentò di per sé la fine della volontà di sciopero dei lavoratori e l’inizio della pace del lavoro assoluta in Svizzera. Questa forma di partenariato sociale non prese veramente piede in questo paese fino al movimento di sciopero del 1944-1948. Così come era già successo appena dopo la prima guerra mondiale, anche verso la fine della Seconda guerra mondiale vi fu un numero considerevole di scioperi: specialmente nell’industria tessile, in quella chimica e della carta, che prima erano debolmente organizzate dal punto di vista sindacale; anche nel settore della costruzione vi furono dure lotte sociali.

Le lotte furono originate dal calo dei salari reali durante la guerra e dall’atteggiamento autoritario e antisindacale, stile “qui comando io” di molti datori di lavoro nelle industrie coinvolte. Le due richieste centrali di tutti gli scioperi alla fine della guerra furono un aumento dei salari reali e la regolamentazione collettiva delle relazioni industriali. La determinazione dei lavoratori, che ha sorpreso molti “qui comando io” e la prevedibile ripresa economica avevano portato le imprese a cedere e nella maggior parte dei casi a una vittoria (di Pirro) dei lavoratori. Gli scioperanti avevano infatti ottenuto notevoli aumenti salariali e l’introduzione di contratti collettivi; tuttavia questi contratti – riprendendo l’accordo del 1937 – contenevano clausole che impegnavano i lavoratori a osservare la pace assoluta del lavoro per tutta la durata contrattuale.

Anche in quella circostanza storica operò nettamente quella che abbiamo chiamato la “dialettica delle conquiste parziali”: la forza relativa degli scioperi tra il 1944-1948 portò allo stesso tempo alla definitiva applicazione del partenariato sociale a livello nazionale.

Gli aumenti di produttività durante il boom economico degli anni ’50 e ’60 hanno resero relativamente facile per i sindacati ottenere aumenti salariali per i salariati (svizzeri) senza dovere ricorrere a importanti mobilitazioni. Questa circostanza, insieme al clima di difesa nazionale intellettuale [7] e all’anticomunismo, forniva le condizioni ottimali per mettere a punto una politica sindacale che desse solidità al sistema del partenariato sociale in tutti i settori. [8]

Cosa fare allora con i sindacati?

Unia non è forte perché possiede grandi mezzi finanziari e può utilizzarli per mantenere un grande apparato burocratico. La vera forza di un sindacato è data dalla capacità dei salariati, sostenuti dalle loro organizzazioni sindacali, di modificare a proprio favore i rapporti di forza nelle aziende e di imporre le esigenze della forza lavoro in opposizione a quelle aziendali. Questo, purtroppo, Unia non è in grado di farlo.

Nonostante tutte le critiche alle burocrazie sindacali, forze di sinistra come la nostra cercano di promuovere ogni forma di organizzazione sindacale. Di fronte alla catastrofe climatica e alla necessaria ristrutturazione e decostruzione dell’intero apparato produttivo capitalista, è assolutamente urgente costruire un contropotere sindacale sui luoghi di lavoro. In molti casi, Unia (o anche altri sindacati dell’USS) rappresenta ancora uno strumento per operare in tale direzione, anche perché l’appartenenza a un sindacato minoritario offrirebbe molte meno opportunità di networking e di intervento. [9]

Naturalmente, sosteniamo tutti gli sforzi per combattere il partenariato sociale, come alcuni hanno cercato di fare in occasione dell’ultimo congresso di Unia nel giugno 2021. Tuttavia, affinché queste mosse abbiano conseguenze reali, non è solo necessario che si sviluppi una vera democrazia sindacale interna; ma, soprattutto, è fondamentale un ancoraggio sindacale concreto sui luoghi di lavoro e nei collettivi di lavoratori salariati che sono pronti a lottare per le loro rivendicazioni, perfino a scioperare, sfidando in questo la politica di pace del lavoro. Il sistema del partenariato sociale e i relativi interessi della burocrazia rappresentano oggi ostacoli reali e di taglia sulla via dello sviluppo di un tale contropotere sindacale.

*articolo apparso sul sito www.sozialismus.ch. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.

[1] Unia è attualmente proprietaria di un totale di 2861 appartamenti, oltre a proprietà commerciali, hotel e riserve di terreno. Ci sono 151 proprietà in totale, la maggior parte delle quali ospita anche segreteriati sindacali.

[2] Le differenze derivano da un lato dal fatto che i media borghesi non detraggono i debiti ipotecari e gli ammortamenti dal patrimonio e quindi non parlano di patrimonio netto. D’altra parte, accusano Unia di non aver riportato il valore degli immobili ai prezzi reali di mercato e quindi al di sotto del valore reale.

[3] I sindacati usano il denaro del fondo paritetico del contratto collettivo dell’edilizia per sovvenzionare le quote associative dei lavoratori edili, il che spiega almeno in parte il grado relativamente alto di organizzazione nel settore principale dell’edilizia.

[4] Le finanze delle commissioni paritetiche possono essere consultate presso la Segreteria di Stato dell’Economia (Seco). Tuttavia, il Seco fa pagare un importo a quattro cifre per questo. Nel settembre 2021, il Consiglio nazionale ha finalmente adottato una mozione che chiede più trasparenza.

[5] Vedi Ernest Mandel: Power and Money. A Marxist Theory of Bureaucracy, pp. 70-76 (2000; originariamente pubblicato nel 1992). Oppure: Ernest Mandel: The Bureaucracy, pp. 9-11 (1976; originariamente pubblicato nel 1967).

[6] È stato concluso principalmente tra l’Associazione dei datori di lavoro dei costruttori svizzeri di macchine e metalli (ASM) Federazione svizzera dei lavoratori metallurgici e orologiai (FOMO), il più grande e influente sindacato del paese all’epoca.

[7] Con Geistige Landesverteidigung intendiamo la resistenza culturale-spirituale all’ideologia del fascismo da parte degli operatori culturali e delle autorità svizzere prima della seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, la Geistige Landesverteidigung si trasformò senza soluzione di continuità in una lotta ideologica contro il comunismo e i movimenti sociali.

[8] Vedi il libro “Fabrikgesellschaft” dello storico Andreas Fasel, pubblicato nel 2021, che traccia la deformazione burocratica dei sindacati tra il 1937-1967 vicino alla fonte.

[9] Tuttavia, tutti gli sforzi, come quelli dell’Industrial Workers of the World (IWW), per portare avanti il lavoro sindacale, specialmente in settori con condizioni di lavoro precarie e un’alta percentuale di lavoratori migranti, sono assolutamente degni di sostegno.

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