Macron e il suo governo hanno appena tentato di forzare la mano il 16 marzo, cercando di imporre la loro legge sulle pensioni senza alcun voto dell’Assemblea nazionale, utilizzando l’articolo 49.3 della Costituzione, un vero e proprio “hold-up”, che permette di imbavagliare i parlamentari, imponendo l’adozione di una legge… senza un voto di approvazione da parte dei deputati!
Il 16 marzo, mentre dal 7 marzo sono in corso scioperi e manifestazioni in diversi settori, i macronisti hanno voluto “farla finita“. Opponendosi all’intero movimento sindacale, con le spalle al muro e ultra-minoritari nel Paese, non sono nemmeno riusciti a costruire una maggioranza all’Assemblea Nazionale su questa riforma, nonostante l’aperto sostegno dei leader di LR (Les Républicains). Elisabeth Borne non era riuscita a far passare la sua legge in prima lettura all’Assemblea alla fine di febbraio. Per riuscire a farla passare in prima lettura al Senato l’11 marzo, ha moltiplicato i compromessi con la maggioranza repubblicana al Senato (i macronisti hanno meno di 100 seggi su 349 al Senato) per ottenere un voto positivo sul progetto di Macron. Sperando di concludere l’iter istituzionale grazie all’appoggio dei repubblicani, Macron e Borne dovevano ancora ottenere, il 16 marzo, un voto senza discussione, in seconda lettura, in entrambi i rami del Parlamento. Al Senato si trattava di una formalità, ma nel pomeriggio, all’Assemblea, andare al voto era diventato un esercizio pericoloso.
Infatti, il gruppo parlamentare di Macron può contare solo 170 seggi, più i 51 seggi per il Modem (François Bayrou) e i 29 di Horizons (Edouard Philippe). Un totale teorico di 250 voti, quando la maggioranza in Assemblea è ora di 287 voti. La “maggioranza presidenziale” è quindi in minoranza. Dopo aver fatto e rifatto i conti, alla fine è emerso che alcuni deputati di LR non intendevano seguire le istruzioni dei loro leader. I Repubblicani non sono più un gruppo solido nell’Assemblea nella quale i deputati devono il loro seggio alla nomina ottenuta dai loro leader. Anzi, dal 2012 al 2023, il partito è passato da 228 seggi a 61. I sopravvissuti del 2023, spesso in circoscrizioni rurali, devono il loro seggio più al proprio peso personale locale che a un partito il cui candidato, Valérie Pécresse, aveva ottenuto il 4,78% dei voti alle ultime elezioni presidenziali. Questi rappresentanti eletti sono da mesi sotto pressione da parte di un elettorato popolare in rivolta contro la riforma delle pensioni, una pressione molto più diretta rispetto ai senatori eletti indirettamente da 160’000 elettori (essenzialmente gli eletti nei consigli comunali dei comuni). Macron e Borne avevano bisogno dei voti di quasi 40 deputati LR. Ovviamente, ciò non poteva essere del tutto garantito, con la pressione politica della mobilitazione, degli scioperi, del clima sociale di disconoscimento del governo presente in tutto il Paese e in particolare nelle zone rurali e nei piccoli centri.
Il voto dei deputati sarebbe quindi diventato sinonimo di una sconfitta per Macron. La sessione dell’Assemblea rischiava di essere immediatamente bloccata da una mozione di maggioranza di rifiuto preventivo, il cui voto era previsto all’apertura della sessione, o dall’assenza di una maggioranza durante il voto per l’adozione della legge. Macron ha quindi scelto di superare l’ostacolo del voto attraverso l’articolo 49.3, che concede un diritto esorbitante senza equivalenti in altre costituzioni.
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Questo diktat del 49.3 è diventato un potente catalizzatore da giovedì 17 marzo.
In precedenza, nella settimana dal 6 al 12 marzo, il movimento sociale aveva raggiunto un punto di inflessione il 7 marzo. L’orientamento di diversi sindacati della CGT e dell’Union Sud-Solidaires di indire uno sciopero a oltranza ovunque a partire dal 7 marzo non è stato seguito dall’intersindacale, in particolare a causa della posizione della CFDT. L’intersindacale aveva lanciato l’ordine di chiusura del Paese solo per il 7 marzo, lasciando a ciascun settore la propria iniziativa per le proroghe. Le date successive annunciate dall’intersindacale nazionale, l’11 e il 15 marzo, non davano il ritmo di un confronto in crescendo, che avrebbe potuto creare una dinamica di mobilitazione nei settori meno colpiti. Gli scioperi generali non possono essere decretati, ma anticipare la ripetizione delle giornate di sciopero avrebbe potuto consentire una spinta progressiva intorno ai settori più avanzati.
In realtà, dall’8 e fino all’inizio di questa settimana, solo i settori che avevano esplicitamente chiesto di protrarre lo sciopero dopo il 7 marzo sono rimasti in sciopero a oltranza: SNCF, strade, raffinerie, energia. Lo sciopero dei netturbini, spettacolarmente mediatizzato a Parigi, è ben ancorato con 10’000 tonnellate di rifiuti non raccolti, ma anche a Nantes, Rennes, Le Havre, Saint-Brieuc, Nizza, Montpellier. Tutte le raffinerie TotalEnergies e la raffineria ExxonMobil di Fos sono in sciopero e iniziano a creare mancanza di rifornimenti nonostante l’utilizzo dei 200 depositi che riforniscono le stazioni di servizio. Gli effetti potrebbero iniziare a farsi sentire nei prossimi giorni.
Dall’8 marzo, le azioni quotidiane degli attivisti, i blocchi e le manifestazioni locali si sono moltiplicati in decine di città, garantendo la continuità tra le giornate di mobilitazione nazionale e il mantenimento di un clima di mobilitazione che esprime il crescente rifiuto di questa riforma caratterizatta de una grande ingiustizia sociale.
Da quel momento in poi, il voto del 16 marzo ha assunto un significato particolare. Il movimento di sciopero non sembrava più in grado di bloccare il progetto. L’intersindacale stessa ha iniziato ad avanzare l’idea di un movimento attorno a una petizione per per la richiesta di un referendum, il che significa la fine della priorità data al confronto diretto attraverso scioperi e manifestazioni. Inoltre, rimaneva la speranza che Macron non trovasse la sua maggioranza durante il voto in Assemblea e l’ipotesi del 49.3 appariva ancora più insopportabile, denunciata come una negazione della democrazia, rendendo illegittima l’adozione della legge.
Questo diktat dei 49.3 ha dato un impulso immediato alla mobilitazione. Da un lato, ha spostato il futuro del confronto nell’arena parlamentare, dall’altro ha rilanciato tutte le mobilitazioni di piazza e le decisioni di mantenere o avviare scioperi a oltranza. Attraverso gli appelli di numerose organizzazioni intersindacali o in modo spontaneo, sono stati lanciati raduni e manifestazioni non appena è stato annunciato il ricorso al 49.3. Manifestazioni e mobilitazioni molto combattive, con la sensazione di essere stati derubati di un voto che avrebbe rappresentato una sconfessione del governo. L’ingiustizia antidemocratica del 49.3 si è aggiunta all’ingiustizia sociale della riforma delle pensioni, all’ingiustizia sociale dell’inflazione galoppante subita ogni giorno del mese nelle bollette dell’energia e del carburante, okltre che nell’aumento dei prezzi dei prodotti che finiscono nei carrelli della spesa.
La rabbia e la collera si sono manifestate nei cortei, anche con la distruzione di arredi urbani, mentre si moltiplicavano le violenze della polizia, le cariche e gli arresti. Venerdì 17 marzo sono state bloccate 15 sedi universitarie, con molti giovani che hanno partecipato alle manifestazioni, in particolare a Place de la Concorde a Parigi, con numerose manifestazioni che si sono svolte, come il giorno precedente, in decine di città. L’intersindacale nazionale ha indicato solo la data del 23 marzo come scadenza nazionale, che è ben lontana dal livello di reazione necessario per bloccare il colpo di forza del governo, che imporrebbe la convocazione di scioperi e manifestazioni di massa per questo fine settimana. Le mobilitazioni si svolgeranno ma in ordine sparso, senza far emergere tutta la forza del movimento, anche se il disconoscimento del governo e di Macron sta crescendo nel Paese.
Ieri, giovedì 16 marzo, in Consiglio dei ministri, Macron ha giustificato il ricorso al 49.3 invocando la necessità di approvare questa riforma “per mantenere la fiducia dei mercati finanziari nei confronti della Francia” mentre i tassi di interesse sono in aumento. Da un lato Macron vuole drammatizzare la situazione, dall’altro mostra alla luce del sole che la sua riforma mira solo a dare un segnale sul controllo dei conti pubblici, sulla scia degli impegni di Bruno Le Maire, ministro dell’Economia e delle Finanze, nei confronti della Commissione europea, il vero obiettivo politico che si cela dietro l’impietosa bugia del “salvataggio del sistema pensionistico per ripartizione”.
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Macron e il suo governo si trovano chiaramente nella fase finale di una crisi politica causata dalla crisi sociale che essi stessi hanno aggravato. Sottovalutando l’aumento della rabbia sociale, Macron ha pensato di poter sferrare un attacco sociale su larga scala mentre le classi lavoratrici soffrono per l’inflazione, l’aumento del costo della vita, la carenza di servizi pubblici e i chiari tagli ai sussidi di disoccupazione.
Macron ha cinicamente pensato che proprio questo deterioramento delle condizioni di vita sarebbe stato il suo miglior vantaggio per anestetizzare la risposta sociale al suo attacco alle pensioni. Ha fatto apertamente affidamento sull’apatia del movimento sociale, pensando che il movimento sindacale fosse incapace di unirsi e di intraprendere azioni reali per bloccare il suo progetto. La sua ignoranza della realtà sociale va di pari passo con il suo disprezzo per le classi lavoratrici. Entrambi lo hanno condotto all’impasse politica con quala si trova oggi confrontato.
Una mozione di censura che potrebbe raccogliere tutti i voti dell’opposizione sarà votata lunedì prossimo, 20 marzo, all’Assemblea nazionale. Se avesse la maggioranza, ciò porterebbe automaticamente all’annullamento dell’approvazione della legge sulle pensioni e alle dimissioni del governo Borne. Per avere la maggioranza, più di venticinque deputati repubblicani dovrebbero votare a favore. Questo è altamente improbabile, anche se diversi membri di questo gruppo voteranno a favore.
In ogni caso, non dobbiamo rimanere sospesi su questa ipotesi per decidere le sorti di questa battaglia e, come è avvenuto negli ultimi due mesi, continuare a costruire un equilibrio sociale di potere pari al rifiuto popolare della riforma di Macron. Oggi è con le spalle al muro, una situazione che non si poteva prevedere fino a pochi mesi fa. (Parigi, 17 marzo sera)
*la traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS