L’appello a costruire un “Nuovo Fronte Popolare” ha trovato un’ampia risposta nella sinistra in lotta, di fronte a un’estrema destra in ascesa e a una Macronie morente. Laurent Lévy analizza il significato di questo riferimento agli anni Trenta, mostrando come la singolarità del “Fronte Popolare” fu proprio quella di non ridursi a una semplice alleanza tra apparati politici, ma di prevedere l’intervento attivo dei movimenti sociali (sindacati, collettivi, associazioni). Sottolinea inoltre la novità della situazione: per la prima volta dopo diversi decenni, sta prendendo forma un’alternativa di sinistra credibile.
L’annuncio, all’indomani delle elezioni europee, che le principali organizzazioni della sinistra politica avrebbero formato un nuovo Fronte Popolare ha immediatamente suscitato un entusiasmo sulla cui portata nessuno avrebbe scommesso fino a pochi giorni prima. L’analisi di questa ondata è senza dubbio più compito degli storici di domani che degli osservatori di oggi, ma possiamo già notare che l’adesione al Front Populaire o l’immediata affermazione di sostegno da parte di decine di organizzazioni politiche e del movimento sociale – anche quelle che, secondo una tradizione consolidata da decenni, non avevano in precedenza adottato posizioni esplicitamente “politiche” – è già di per sé un evento importante. E se la sfida di trasformare questo evento in una vittoria in tempi particolarmente brevi è titanica, il solo fatto che appaia possibile al punto da suscitare tanto entusiasmo – e tanta paura nel mondo finanziario – non sarà privo di conseguenze durature.
Ritorno agli anni ’30
Può sorprendere, tuttavia, la ricomparsa del desueto termine di Front Populaire, che fa riferimento a un evento di novant’anni fa e del quale non esistono più né protagonisti né testimoni diretti, anche se ha plasmato l’immaginario delle prime generazioni successive a quell’evento. Certo, non esiste un copyright sull’espressione, anche se, in questa occasione, le parole sembrano essere state ben scelte. Mentre un’espressione come “Unione popolare” può essere stata usata senza riferimento a ciò che avrebbe potuto significare negli anni Settanta, quello a cui stiamo assistendo è il rapido emergere di un vero e proprio Fronte Popolare.
Da anni alcune voci sottolineano regolarmente le analogie tra la nostra epoca e gli anni Trenta – quelli dell’ascesa del fascismo, ma anche quelli dello storico Front Populaire. È sempre facile obiettare che le circostanze sono così diverse che il paragone è azzardato e non può condurre a un’analisi politica rigorosa. Ciò non significa, tuttavia, che i confronti siano irrilevanti, a condizione che non conducano a identificazioni affrettate.
All’inizio degli anni Trenta, la sinistra – nonostante un periodo di intense agitazioni sociali – era divisa e caratterizzata da un grado di violenza mai visto da allora: militanti del PCF e della SFIO, della CGTU e della CGT [Parti communiste français, Section française de l’Internationale ouvrière , Confédération générale du travail unitaire,Confédération générale du travail. N.d.T.], venivano facilmente alle mani. Da parte comunista, in particolare, fu l’epoca della strategia settaria ella cosiddetta “classe contro classe” e della denuncia del cosiddetto “socialfascismo”, che equiparava fascisti e socialdemocratici. Da parte socialista, era la retorica del “totalitarismo comunista” e la denuncia del “massimalismo” del PCF. E nel dibattito pubblico fiorì l’accusa di “giudeo-bolscevismo”.
Da parte sua, l’estrema destra era in piena attività. Inscenava un numero crescente di manifestazioni, talvolta violente, la sua stampa era molto attiva e denunciava la corruzione di una Repubblica che voleva abbattere. Poi arrivò il 6 febbraio 1934, che sembrava un tentativo fascista di rovesciare il governo. E poi la risposta a quel tentativo: meno di una settimana dopo, il 12 febbraio, la volontà unitaria delle masse lavoratrici costrinse i vertici delle organizzazioni politiche e sindacali a trovare un accordo [1]. Qualsiasi somiglianza con la situazione attuale sarebbe il risultato non del caso, ma di forti tendenze nella vita politica: sono le masse a fare la storia e la loro aspirazione all’unità, decuplicata di fronte al pericolo fascista, è abbastanza potente da rompere gli argini del settarismo.
Il processo durò alcuni mesi. Nel luglio del 1934, Maurice Thorez, segretario generale del Partito Comunista, dopo aver proposto in giugno un patto di azione unitaria impensabile fino a pochi mesi prima, dichiarò all’indomani del suo successo: “Abbiamo lanciato l’idea di una vasta manifestazione popolare“. Riportando il suo discorso, L’Humanité [quotidiano del PCF. N.d.T.] titolò: “Pour un large Front populaire antifasciste” (“Per un ampio fronte popolare antifascista“). La frase era nata, probabilmente da Paul Vaillant-Couturier. Sarebbe entrata a far parte del vocabolario quotidiano e avrebbe fatto il giro del mondo. Inizialmente destinata a indicare l’unione per la resistenza al fascismo, arrivò a designare un’intera politica di riforme sociali e democratiche che, nell’entusiasmo di lotte intense e gioiose, portò a notevoli progressi che il mondo del lavoro e l’opinione progressista avrebbero ricordato a lungo.
La principale caratteristica politica del Front Populaire, che lo distingueva da precedenti esperimenti di unità di sinistra come il “Cartel des gauches“, oltre al suo raggio d’azione, che spaziava dal Partito Radicale al Partito Comunista, era il fatto di non essere stato concepito innanzitutto come un’alleanza elettorale di organizzazioni politiche, ma come un’aggregazione molto ampia di molteplici movimenti, sindacati, associazioni e varie strutture della società civile, con al centro l’antifascismo. La misura di punta del suo – seppur limitato – programma fu la rivendicazione dello scioglimento delle leghe fasciste. Non è un caso che gli accordi che lo concretizzarono furono firmati nella sede della Ligue des Droits de l’Homme.
Un periodo che spinge all’unità
Anche se tutto questo è passato da tempo, e molta acqua è passata sotto i ponti, anche se la memoria storica di ciò che è stato il Front Populaire si è quasi naturalmente affievolita e non appare più alle giovani generazioni come qualcosa di più di un avvenimento consegnato alla storia, va detto che la stessa espressione Front Populaire ha conservato un certo calore politico. A quarant’anni di distanza, rimane un punto di riferimento. Ma ci sono voluti altri cinquant’anni perché uscisse dagli schemi e arrivasse a designare l’unione frettolosamente realizzata tra i partiti di sinistra dopo le elezioni europee e nell’emergenza del calendario imposto dal potere macroniano dopo lo scioglimento dell’Assemblea nazionale.
La formazione di questo Nouveau Front Populaire (NFP) è stata resa possibile da una combinazione di diversi sviluppi della vita politica degli ultimi anni. Questi sviluppi, alcuni contraddittori, altri convergenti, si sono cristallizzati dopo le elezioni europee e hanno portato a un’alleanza senza precedenti tra raggruppamenti politici di tutto lo spettro della sinistra, dal Partito Socialista all’NPA-L’Anticapitaliste, su un programma generalmente molto avanzato, molto più vicino a quello delle sue correnti più di sinistra che a quello delle sue correnti social-liberali, che sono state spazzate via ideologicamente anche se hanno mostrato una certa tenuta elettorale in alcune elezioni.
Le principali cause di questi cambiamenti sono
– L’ascesa dell’estrema destra neofascista, il cui pericolo diventa sempre più tangibile con il passare degli anni e delle elezioni. Questa ascesa è di per sé legata a una serie di fattori non esclusivi dell’estrema destra, come la diffusione del razzismo, in particolare di quello islamofobico, dall’inizio di questo secolo, e la tendenza rafforzata del centro estremo verso l’illiberalismo, la repressione più feroce e l’intransigenza di classe.
A ciò ha contribuito anche l’incapacità della sinistra di presentare un’alternativa credibile al potere assoluto della borghesia e della finanza – un’alternativa che richiederebbe sia un pacchetto di misure convincenti sia una dinamica politica a vocazione maggioritaria. Ma la stessa estrema destra politica non è stata con le mani in mano e ha adattato il suo discorso e la sua retorica per “de-demonizzarsi” – con l’aiuto efficace dei media, alcuni dei quali sono concentrati nelle mani dei suoi sostenitori. L’elettroshock del suo risultato alle elezioni europee e la possibilità concreta di una sua rapida ascesa al potere dopo la dissoluzione sono stati decisivi.
– Il crescente desiderio di unità a sinistra, negli ambienti più diversi, che ha acquisito un certo slancio con l’unità sindacale raggiunta durante il movimento contro la riforma delle pensioni. Anche se non ha fatto cedere Macron, è stata un’esperienza del potere dell’unità per centinaia di migliaia di persone.
– Un certo riequilibrio della sinistra negli ultimi dieci anni, a vantaggio dei suoi settori più chiaramente anti-neoliberali o anti-capitalisti: è uno dei risultati più positivi e anche uno dei motori dell’ascesa di LFI (la France Insoumise) e del posto che ha acquisito a sinistra, in un certo senso prendendo il testimone politico di un certo altermondialismo tendenzialmente in fase di esaurimento.
– La stessa volontà di dominio di questa stessa organizzazione ha chiaramente condotto a un’impasse; infatti, mentre allo stesso tempo contribuiva ad imporre e a far avanzare i temi più radicali nel dibattito pubblico accelerando così il desiderio di unità, a volte suo malgrado e a volte contro la sua volontà. Uno degli effetti di questo paradosso è la combinazione tra il rafforzamento di alcune sue proposte affermatesi tra ampi settori dell’opinione pubblica e la crescita, tra gli stessi settori, di una certa irritazione nei confronti della sua retorica e del suo atteggiamento generale nei confronti delle altre forze della sinistra politica e sociale.
– La consapevolezza da parte del movimento sociale e di un buon numero di sue organizzazioni di avere un ruolo politico da svolgere a pieno titolo, che la politica non dovrebbe essere proprietà privata (che ne negano l’ingresso) dei soli partiti e organizzazioni politiche e che il ruolo della “società civile” e dei “corpi intermedi” potrebbe e dovrebbe essere affermato nel dibattito e nell’azione politica.
Scadenza storiche
L’unificazione di tutti questi aspetti ha creato le condizioni per un Nouveau Front Populaire che può affermarsi anche in una prospettiva di più lungo termine. Naturalmente, ciò non pone affatto fine ai dibattiti o agli scontri ideologici all’interno della sinistra, che possono solo continuare e persino intensificarsi con il progredire del NFP: non è questo il suo scopo né la sua vocazione. D’altra parte, permette a questi dibattiti e confronti di assumere una nuova dimensione strategica, ponendo un freno a quegli scontri che si esprimerebbero come conflitti di precedenza o contrapposizioni politiche oltre che ideologiche: in breve, dà loro il quadro che manca affinché il loro necessario sviluppo non sia allo stesso tempo un ostacolo alla dinamica politica unitaria.
Per anni, l’assenza di un’alternativa credibile a sinistra in Francia è stata un ferreo blocco politico. Con il Nouveau Front Populaire, nel momento in cui è più necessario, con i neofascisti alle porte del potere, questa alternativa credibile esiste. Per le persone sotto i sessant’anni, è la prima volta nella loro vita che questo accade.
È degno di nota il fatto che solo dopo che le organizzazioni politiche hanno concluso il loro accordo di principio – il cui scopo primario era quello di formare un fronte contro la minaccia neofascista – sono state in grado di raggiungere un accordo, in tempi molto brevi e con l’incoraggiamento di settori sempre più ampi del movimento sociale e dell’opinione pubblica di sinistra, su un programma di buona qualità, che non è né la somma né il massimo comune denominatore dei programmi delle sue varie componenti e che, nelle sue disposizioni economiche e sociali, porta in gran parte l’impronta di quello de LFI, cioè della sua componente più radicale (va notato che l’NPA-L ‘Anticapitaliste si è unito NFP solo il giorno successivo).
In un certo senso, il Partito Socialista, per non parlare che di questo partito, ha dovuto andare a Canossa e rassegnarsi, almeno per un certo periodo, ad un riequilibrio dei rapporti di forze all’interno della sinistra – proprio come nel 1935-1936 l’ala destra del Partito Radicale dovette rassegnarsi per un certo periodo all’alleanza con i comunisti. Naturalmente, si potrebbe sostenere che alcune delle misure del programma del NFP non è all’altezza, o che una particolare formulazione è inadeguata. Tutto ciò ha un’importanza del tutto secondaria. L’esistenza del programma non impedisce a ciascuno di noi – che si tratti dei partiti firmatari o delle organizzazioni politiche o del movimento sociale che hanno deciso di contribuire alla dinamica del NFP – di lottare per i propri obiettivi. Persino il Front Populaire degli anni Trenta non rivendicava all’inizio vacanze pagate, la settimana di quaranta ore o quasi tutte le misure che ancora oggi si ricordano e che sono poi state imposte con la lotta.
Nella sua forma attuale, questo programma traccia alcune direzioni entusiasmanti e giustifica ampiamente il sostegno al Nouveau Front Populaire, la sua estensione e il suo allargamento, il numero crescente di organizzazioni, associazioni e gruppi vari che costituiscono il tessuto della società civile, e l’azione determinata del maggior numero di persone per garantirne il trionfo, nella consapevolezza che sono le lotte popolari che lo faranno progredire concretamente, oggi, domani e dopodomani.
Il Nouveau Front Populaire significa anche il ritorno del bipolarismo nella politica francese. Questa bipolarizzazione è di fatto parte integrante del funzionamento stesso della Quinta Repubblica. Essa ha avuto, dopo decenni di contrapposizione “destra/sinistra”, una breve parentesi a partire dal 2017 e l’intervento dei “nuovi arrivati” dopo la distruzione della sinistra da parte di François Hollande: il centro estremo, personalizzato da Macron, ma che era in marcia già molto prima di lui, e l’estrema destra, anch’essa in marcia da anni, tanto da lasciare brevemente spazio a una sorta di tripolarizzazione: ma questa non poteva rimanere stabile nel quadro delle attuali istituzioni.
Era semplicemente la manifestazione delle turbolenze legate al passaggio da un bipolarismo all’altro, e il problema del periodo era capire quale polo sarebbe diventato marginale; avrebbe potuto essere la sinistra, come in Italia, ma l’effetto delle lotte ideologiche, sociali e politiche dell’ultimo periodo ha prodotto un risultato diverso. La nuova bipolarizzazione è ora, come aveva previsto Jean-Luc Mélenchon nel 2012, quella tra la sinistra e l’estrema destra. Una situazione politica molto più instabile di quella precedente, come una guerra civile per il momento ancora disarmata. Una situazione carica di pericoli, ma anche di opportunità, se le forze della sinistra politica e sociale sapranno mantenere la loro unità d’azione – e se le sue correnti radicali sapranno evitare di perdere la loro influenza di leadership.
La posta in gioco in queste elezioni è quindi, per una volta, davvero storica, poiché l’estrema destra potrebbe essere in grado di esercitare il potere. Potrebbe anche, e questo dipende dalla sua campagna elettorale e dalla sua unità, essere il turno della sinistra: una sinistra all’interno della quale i rapporti di forza sono cambiati e dove le correnti più radicali hanno guadagnato molta influenza dalla fine del triste mandato di Hollande. Potremmo anche ritrovarci in una situazione di ingovernabilità nella quale il Presidente della Repubblica non è in grado di formare un governo al riparo da una mozione di censura, poiché la somma dei due blocchi dominanti, sinistra ed estrema destra, supera di gran lunga quella della piccola palude che li separa, che dovrà quindi allearsi, se non riuscirà a rompere l’unione, con uno dei due. Ci sono pochi dubbi che Macron sceglierà l’estrema destra: la stampa ama dire che “gli estremi” si stanno unendo, e questo è il caso dell’estrema destra e del centro estremo.
Il Nouveau Front Populaire non è senza dubbio un remake di quella omonima esperienza storica che lo ha preceduto, ma come allora esso permette di aprire tutte le possibilità. Per la sua stessa natura e per lo slancio che può generare, ha un nome appropriato. Se questa vecchia formula è stata in grado di emergere senza suscitare alcun sorriso, è perché non si tratta della ripresa nostalgica di una parola d’ordine ormai dimenticata, ma di una categoria politica viva.
*articolo apparso sulla rivista https://www.contretemps.eu/ il 20 giugno 2024. Traduzione a cura del segretariato MPS.
[1] Per i dettagli di questa importante sequenza storica, si veda la mia introduzione a Marc Bernard, Faire Front, Editions de La Fabrique, 2018. È inoltre possibile consultare gli episodi 7 e 8 del podcast Minuit dans le siècle di Ugo Palheta, in cui parlo con lui degli eventi del 6, 9 e 12 febbraio 1934, del loro contesto e delle loro conseguenze.