Il Presidente francese Emanuele Macron ha mostrato tutte le sue concezioni autoritarie antidemocratiche, assumendo la decisione di mantenere in piedi fino alla fine dei Giochi Olimpici il suo vecchio governo, quello di Attal, nettamente sconfitto dal voto popolare, inventandosi lui stesso una “tregua olimpica”, che altro non è che un “congelamento della democrazia”. Contemporaneamente si è rifiutato di prendere in considerazione la candidatura a Presidente del governo della giovane Lucie Castets, avanzata unitariamente dal Nuovo Fronte Popolare (NFP), la forza maggioritaria presente all’interno della Assemblea Nazionale che unisce tutte le forze della sinistra e che ha il sostegno delle organizzazioni sindacali e dei movimenti sociali.
E’ in questo contesto che si sta sviluppando all’interno delle forze della sinistra un forte dibattito su come far avanzare un progetto sociale e politico alternativo, dopo che la formazione del NFP, la mobilitazione popolare e il voto del 7 luglio hanno bloccato l’ascesa, che sembrava inevitabile, delle forze dell’estrema destra e aperto uno scenario del tutto inedito ed imprevisto in Francia, con profonde ripercussioni su tutto il resto del continente europeo.
Il 10 luglio scorso, diversi collettivi, organizzazioni e media alternativi, tra cui la rivista “Contretemps”, hanno organizzato a Pantin (Parigi) un incontro sul tema “Dopo il 7 luglio, che fare?“. Riproduciamo qui il discorso tenuto da Stathis Kouvélakis.
La domanda a cui cerchiamo di rispondere questa sera è: che cosa possiamo fare per garantire che il soprassalto del 7 luglio sia più di una semplice tregua? Non possiamo ingannarci: con più di 10 milioni di voti, cioè più di un terzo dei voti espressi, e 140 parlamentari all’Assemblea e con un intero sistema mediatico al suo servizio e la legittimazione ormai acquisita come forza di governo accettabile per la borghesia, l’estrema destra è in agguato pronta a capitalizzare il diffuso sentimento di disgregazione che permea settori della società francese.
Per trovare qualche elemento di risposta, dobbiamo esaminare più da vicino le forze motrici di questo soprassalto.
Può averci sorpreso e sollevato, ma non è stato affatto un miracolo. Possiamo anche dire che viene da lontano, dai sedimenti lasciati dalle battaglie sociali e politiche degli ultimi anni.
Questa sedimentazione è composta da due strati. Il primo strato è quello della successione di mobilitazioni che hanno messo in moto settori diversi e massicci della società francese.
Per citare solo le principali: la lotta contro la legge sul lavoro, i Gilet Gialli, le mobilitazioni femministe o antirazziste, le rivolte dei quartieri, il movimento contro la riforma delle pensioni, senza dimenticare la decisiva battaglia di solidarietà con il popolo palestinese.
Certo, nessuno di questi movimenti è stato vittorioso. Ma è grazie a loro che si è creata un’atmosfera di politicizzazione nel paese, una capacità di azione, un sentimento diffuso di appartenenza a un campo sociale identificabile nelle sue grandi linee. È stato questa accumulazione di esperienze che ha permesso la mobilitazione dal basso, in gran parte auto-organizzata; è il segreto del rovesciamento della dinamica avvenuta tra i due turni e della battuta d’arresto inflitta all’ascesa dell’ondata bruna.
Il secondo strato è l’emergere di un polo di rottura a sinistra, sulle rovine lasciate dalla conversione socialdemocratica alla gestione neoliberista e dalla sua discesa all’inferno nei cinque anni di Hollande.
Lanciato nel 2012, questo polo si è affermato nel 2017 con La France Insoumise e la candidatura di Jean-Luc Mélenchon alle elezioni presidenziali. Nel 2022 ha confermato la sua centralità a sinistra ed è riuscito a riunire il resto della sinistra in un quadro comune attorno a un programma di rottura. Nonostante i suoi limiti e la sua fragilità interna, che hanno portato alla sua disgregazione, questo precedente ha reso possibile la formazione del Nuovo Fronte Popolare (NFP). Ed è stato proprio questo NFP che ha permesso di sventare il piano di Macron durante la dissoluzione (dell’Assemblea). Un piano basato sulla frammentazione della sinistra e il ritorno al faccia a faccia con l’estrema destra, che è l’unico (e letale) programma del macronismo.
È stato questo NFP che ha permesso di sconfiggere anche l’altro asse della strategia del governo: stigmatizzare e isolare La France Insoumise, per tornare al vecchio quadro, quello di una sinistra addomesticata. Una sinistra che si accontenti di occupare una posizione subordinata in un sistema politico dominato dal binomio del blocco borghese e da quello dell’estrema destra, entrambi al servizio degli stessi interessi di classe.
Di fronte all’imminenza della minaccia fascista, la formazione del NFP ha permesso di superare la cartellizzazione dei partiti che era ancora quella della NUPES. Ha facilitato il coinvolgimento dei sindacati, delle associazioni e del movimento sociale, gettando così le basi per un vero e proprio fronte unito di forze popolari.
Siamo chiari: l’esistenza di questo quadro fa parte dell’acquisizione del periodo. La sua disgregazione non può che aprire la via diretta al disastro.
Le difficoltà del compito stanno nella capacità di difenderlo preservando il percorso della rottura con il passato che ne ha permesso l’emergere, che è di fatto l’unico modo per radicarlo e dispiegarlo. Per dirla in altro modo, la regola d’oro in questo campo è sempre quella di lasciare ai settori più a destra la responsabilità di eventuali rotture del quadro unitario, dovendone pagare questi il costo.
Quindi non partiamo da zero. Questa acquisizione è tanto più preziosa in quanto è il frutto di lotte incessanti, lotte che fanno parte della lunga storia di quella che dobbiamo chiamare la grande tradizione rivoluzionaria di questo Paese e di questo popolo. Nessun altro paese in Europa oggi ha una configurazione simile. Il significato della battaglia che stiamo conducendo si estende ben oltre i nostri confini, e la sera del 7 luglio abbiamo visto quanto la nostra gioia fosse stata condivisa in tutto il mondo. La nostra responsabilità è quindi immensa.
Non ci può essere nessun autocompiacimento, nessun rilassamento, perché è l’unico modo per difendere una acquisizione e farla fruttificare.
Il compito è tanto più urgente perché la situazione rimane irta di gravissimi pericoli. Uno degli aspetti che resta da chiarire è l’ipotesi strategica in cui collocare quanto abbiamo acquisito.
In questo caso sono costretto a scommettere forte, semplificando al massimo. Formulerò questa ipotesi: un governo di coalizione di forze popolari, basato su un programma come unico mezzo per costruire un’alternativa di potere.
Infatti, quando il fascismo si presenta come alternativa e arriva alle porte del potere, non può essere sostenuto a lungo; può essere sconfitto in modo duraturo solo da un’altra alternativa di potere, un’alternativa vera, perché vuole rompere con l’ordine esistente. Ma per fare questo, ed è il punto decisivo, questa forma alternativa di governo popolare deve essere inserita in una dinamica che vada oltre, grazie alla mobilitazione delle forze che l’hanno portata al potere. La lunga esperienza internazionale ci insegna che se i due estremi di questa difficile dialettica non sono tenuti insieme, il fallimento e persino il disastro sono dietro l’angolo.
In un momento in cui una parte della sinistra, da Marine Tondelier a François Ruffin e Clémentine Autain, non fa altro che pronunciare le parole “pacificazione” e “riparazione”, bisogna dirlo con forza: non si predica la “pacificazione” quando si ha di fronte un avversario scatenato. E, per quanto ne so, si cerca di “riparare” un oggetto solo se si è deciso in anticipo che deve funzionare come prima, cioè se si è rinunciato a cercare di trasformarlo.
Non si tratta di ostentare un radicalismo narcisistico, ma fare prova un elementare realismo politico. Essere al governo e prendere il potere sono due cose molto diverse. Perché la maggior parte del potere nella società non risiede in istituzioni rappresentative, ma là dove si concentra il potere economico, dove si concentra il nocciolo duro dell’apparato statale, nelle alte sfere dell’amministrazione e dell’apparato di repressione, senza dimenticare il potere tentacolare dei media, sempre più direttamente integrato al potere economico. A questo si aggiunge il quadro internazionale che è per definizione avverso a qualsiasi tentativo di rottura, e che si concretizza in particolare nell’Unione europea e nei cosiddetti “mercati” della finanza internazionale.
E per completare il quadro, occorre menzionare la struttura militare imperialista sotto dominazione USA, di cui la Francia fa parte e di cui è un elemento importante, anche se secondario rispetto all’superpotenza americana.
Sarebbe del tutto irresponsabile credere che queste forze lascerebbero andare avanti senza reagire, la realizzazione di un progetto che rimettesse in discussione anche solo una piccola parte del loro potere.
L’unico modo per vincere questa prova di forza è combinare l’azione dall’alto con quella dal basso, quella di un governo che attua misure di rottura, con la mobilitazione dal basso, per superare le resistenze e andare oltre.
Questa è la possibilità strategica contenuta in germe nella doppia realizzazione della sequenza di eventi che abbiamo appena vissuto: un fronte unito di forze popolari che, prima o poi, in una configurazione o in un’altra, vada al potere attraverso le lotte e la cui azione sia capace di amplificarne la dinamica.
Solo una tale articolazione di forze può permettere di mantenere il percorso della rottura e di rafforzare il polo politico che la sostiene. È l’unico modo per contrastare le pressioni soffocanti dall’interno e dall’esterno che punteranno alla resa e alla capitolazione, com’è avvenuto in tante altre esperienze di governi di sinistra in Francia e altrove.
Uniamoci, organizziamoci, senza alcun indugio, per costruirlo.
*Stathis Kouvelákis, nato ad Atene nel 1965, è uno studioso di filosofia e militante della sinistra radicale. Ha insegnato al King’s College di Londra tra il 2002 e il 2020; attualmente è un ricercatore indipendente residente a Parigi. È membro del comitato editoriale della rivista Contretemps e condirettore della collana Lignes rouges pubblicata dalle edizioni Amsterdam.