Il controsenso del progetto EFAS (finanziamento uniforme delle cure – rinviamo all’articolo apparso sul nostro sito il 23 agosto), sul quale saremo chiamati a votare il prossimo 24 novembre, è reso ancor più chiaro da un altro dibattito che riceve troppo poca attenzione: quello sull’attuazione dell’iniziativa “Per cure infermieristiche forti”, approvata in votazione popolare nel novembre 2021. Ecco perché.
Un mandato popolare per migliorare le condizioni di lavoro nel settore sanitario
L’iniziativa ““Per cure infermieristiche forti” è stata accettata con una maggioranza del 61% il 28 novembre 2021. Il suo obiettivo dichiarato è quello di combattere la carenza di personale infermieristico, che minaccia la qualità dell’assistenza. A tal fine, l’iniziativa chiede di aumentare la formazione e di “migliorare le condizioni di lavoro degli operatori sanitari e riconoscere le loro competenze affinché non abbandonino la loro professione” (Comitato d’iniziativa, nel bollettino ufficiale della votazione).
Le parole del “partenariato sociale”
Il Consiglio federale ha deciso di “attuare” l’iniziativa in due fasi. La prima fase si concentra sul rafforzamento della formazione. Non ha incontrato opposizione e la legge corrispondente è entrata in vigore il 1° luglio 2024.
La seconda fase riguarda invece le condizioni di lavoro. A prima vista, l’importanza di migliorare le condizioni di lavoro non sembra essere contestata. L’8 giugno 2023 è stata pubblicata una “Dichiarazione congiunta della Conferenza dei direttori cantonali della sanità, delle associazioni dei datori di lavoro e delle associazioni professionali/sindacali”. In essa si legge: “I Cantoni e le associazioni dei datori di lavoro concordano sulla necessità di adeguare anche le condizioni di lavoro”. E continua: “I principali fattori che contribuiscono a prolungare la vita lavorativa nella professione sono noti: condizioni di lavoro adeguate alle esigenze (tra l’altro: tassi di occupazione e regolamento delle ferie, rispetto delle linee guida della legislazione sul lavoro – come i periodi di riposo – pianificazione anticipata delle prestazioni, tempo sufficiente per il trattamento dei pazienti e riduzione delle mansioni non mediche), salari/compensi competitivi e conciliazione della vita professionale e privata”. Belle parole…
“Peggio di un guscio vuoto…”.
Il passaggio dalle parole ai fatti lo si è potuto cominciare a giudicare già nei primi mesi dell’anno. L’8 maggio, il Consiglio federale ha sottoposto a consultazione, fino alla fine di agosto, la sua proposta per questa “seconda fase”, che comprende in particolare una “Legge federale sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel settore delle cure infermieristiche (LCInf). Il Sindacato dei servizi pubblici (SSP-VPOD) ha immediatamente osservato che “questa legge è peggio di un guscio vuoto, potrebbe essere una legge di deregolamentazione!” (Service Publics, 17 maggio 2024).
Le ragioni di questo giudizio sono molteplici. In primo luogo, gli articoli che trattano le caratteristiche delle condizioni di lavoro riprendono il più delle volte le norme minime contenute nella legge sul lavoro e sono quindi spesso al di sotto degli standard in vigore nelle strutture di assistenza pubbliche. In secondo luogo, la legge mira a rendere obbligatoria la negoziazione di contratti collettivi di lavoro (CCL), anche per le strutture del settore pubblico. Questo cambiamento di regime sarà probabilmente l’occasione per un attacco ai diritti conquistati dai lavoratori nei servizi pubblici e per un’ulteriore espansione del regime di impresa privata nella sanità. Come ciliegina sulla torta, il disegno di legge propone una variante che consente ai CCL di derogare alle disposizioni della LCInf a scapito dei dipendenti. A ciò si aggiunge il fatto che l’idea di una norma che definisca il numero di persone e i livelli di formazione necessari per ogni persona assistita, al fine di garantire un’assistenza di qualità e un carico di lavoro accettabile, è stata puramente e semplicemente abbandonata.
I datori di lavoro escono allo scoperto
Questo per quanto riguarda la bozza che il Consiglio federale ha messo in consultazione. Le risposte alla consultazione sono state ancor peggiori!
Prendiamo H+, l’organizzazione mantello degli ospedali che, insieme alle case per anziani, sono i principali datori di lavoro del personale di cura. In un comunicato stampa pubblicato il 22 agosto 2024, H+ spiega che “Invece di prescrizioni centralistiche, gli ospedali necessitano di un rafforzamento della libertà imprenditoriale mediante tariffe che coprono i costi”; e continua: «Chiediamo dunque al Consiglio federale di rielaborare fondamentalmente il progetto», come afferma la direttrice di H+, Anne-Geneviève Bütikofer, «tenendo conto in modo molto più marcato dell’affermato partenariato sociale e della sostenibilità finanziaria per gli ospedali e le cliniche.»
La posizione congiunta dell’associazione di categoria dei fornitori di servizi per persone anziane (Curaviva) e delle cure a domicilio (ASPS, associazione delle organizzazioni private di cura a domicilio, e AIDE et soins à domicile per le aziende “no profit”) è sulla stessa linea. In un comunicato stampa del 29 agosto, chiedono al Consiglio federale di abbandonare “le misure che portano a un’eccessiva riduzione della capacità lavorativa, che limitano ulteriormente la possibilità di scegliere soluzioni individuali ottimali o che vanno oltre le esigenze del personale”.
Queste assurdità sono rivolte alle poche misure concrete contenute nel disegno di legge, come una possibile riduzione dell’orario di lavoro o un limite alla durata massima della settimana lavorativa. Naturalmente, queste associazioni di datori di lavoro si posizionano in questo modo per rispondere ai “desideri” dei loro dipendenti, perché, ad esempio, “la riduzione dell’orario di lavoro [limiterebbe] la possibilità per i datori di lavoro di rispondere ai desideri dei loro dipendenti e di offrire modelli di lavoro moderni (ad esempio, incarichi di 6 giorni per i pendolari transfrontalieri)”. Come non pensarci! [Si veda il riquadro alla fine di questo articolo sull’ultima campagna pubblicitaria dell’assistenza domiciliare privata].
Queste posizioni danno la giusta misura del valore attribuito dai datori di lavoro del settore sanitario alla “Dichiarazione congiunta” firmata un anno fa (e presentata sopra) e al “partenariato sociale che ha dimostrato la sua validità”…
Migliorare le condizioni di lavoro? Circolate, non c’è niente da vedere!
Qual è la lezione di questa vicenda?
In primo luogo, non c’è alcuna volontà di migliorare le condizioni di lavoro del personale di cura – e di rispettare il risultato della votazione popolare – da parte dei datori di lavoro o delle maggioranze politiche che governano a livello federale o cantonale.
- Il Consiglio federale, obbligato a presentare una proposta in seguito alla votazione popolare, non riesce a proporre che aria fritta, o peggio.
- Per i datori di lavoro, il minimo diritto collettivo dei dipendenti è un attacco intollerabile alla loro sacrosanta “libertà imprenditoriale”. All’Inselspital di Berna, ad esempio, questa “libertà imprenditoriale” si riflette nella decisione di tagliare i costi salariali del 5% per ridurre il deficit dell’ospedale (VPOD Berna, Standpunkt 158, settembre 2024)… Addio cure infermieristiche forti!
- Lo stesso vale per i governi cantonali. A Zurigo, la responsabile della sanità, l’UDC Nathalie Rickli, si oppone a qualsiasi misura cantonale per migliorare le condizioni di lavoro del personale sanitario, e lei e l’intero governo respingono il progetto di legge del Consiglio federale come “fuori dalla realtà e inaccettabile” perché troppo costoso (NZZ, 27.08.2024). Nel Canton Vaud, il piano del Consiglio di Stato, InvestPro in gergo manageriale, che prevede un aumento dei miseri stipendi del settore sanitario parapubblico, regolato da un contratto collettivo di lavoro (l’ennesimo successo del “partenariato sociale che ha dimostrato la sua validità”), è del tutto minimalista e non è stato migliorato di un solo centesimo dal Gran Consiglio, nonostante una petizione firmata da diverse migliaia di dipendenti interessati. A dimostrazione dello stato d’animo prevalente nella parte padronale e nella destra, a chi difendeva l’allineamento degli stipendi del settore parapubblico a quelli dello CHUV e della funzione pubblica – che era la regola fino a una ventina d’anni fa e all’introduzione di un CCL per il settore parapubblico – un deputato liberale ha risposto che “potremmo cambiare l’equazione: non sono piuttosto gli stipendi dello CHUV a essere troppo alti?” (Le Courrier, 28.08.2024). Un altro deputato liberale ha chiesto di escludere da queste misere misure le persone che hanno “solo” completato la formazione con un CFC (certificato di capacità) o un APF (attestato professionale federale, ottenuto in due anni) (Le Courrier, 04.09.2024). Si tratta ovviamente di una proposta disinteressata: il suddetto deputato è il direttore di una fondazione che controlla delle Case anziani e le case anziani del Cantone di Vaud fanno un uso massiccio di personale non qualificato o con una formazione a livello AFP o CFC.
Un inganno totale
In secondo luogo, il progetto di legge del Consiglio federale è un vero e proprio inganno perché – e su questo punto non possiamo che essere d’accordo con H+, con Curaviva e le altre associazioni dei datori di lavoro attivi nelle cure a domicilio – non prevede alcuno strumento per finanziare il miglioramento delle condizioni di lavoro. Ma chi può credere che questo possa essere fatto “gratuitamente”, o attraverso “guadagni di efficienza”, senza investire nella sanità e destinare risorse aggiuntive all’assistenza?
Un solo esempio: in una delle sue poche disposizioni concrete, il disegno di legge prevede di fissare l’orario normale di lavoro (orario contrattuale, esclusi gli straordinari) tra le 38 e le 42 ore… un range elastico.
C’è una reale necessità di ridurre l’orario di lavoro nelle settore sanitario. È molto difficile, e raro, sostenere un lavoro a tempo pieno nel settore delle cure, in particolare negli ospedali, dato il carico di lavoro e l’intensità del lavoro. Ridurre l’orario di lavoro a 38 ore – una vaga possibilità prevista nel disegno di legge! – sarebbe un primo passo. Questa misura, che comporterebbe il mantenimento dei salari e assunzioni compensative, avrebbe ovviamente un costo, stimato in 1,4 miliardi di franchi all’anno. Chi pagherà?
Gli ospedali sono strangolati finanziariamente dal sistema di finanziamento DRG (diagnosis-related group) introdotto nel 2012. Nessuno, tantomeno gli assicuratori, vuole aumentare il livello di rimborso delle cure. Questo metodo di finanziamento, che dovrebbe “stimolare” la concorrenza tra gli ospedali e in realtà favorisce l’espansione delle cliniche private, esclude le sovvenzioni cantonali. E, in ogni caso, né la Confederazione né i Cantoni hanno intenzione di mettere mano al portafoglio. Al contrario, stanno tutti facendo campagna a sostegno di EFAS, che mira a inasprire ulteriormente le regole sul finanziamento dei servizi sanitari sotto il controllo esclusivo, e ancora più spietato, delle casse malati.
Una scelta per il futuro del sistema sanitario
La scelta è tra un’assistenza infermieristica forte e EFAS. Servizi sanitari a gestione pubblica che rispondono alle esigenze dei pazienti e garantiscono buone condizioni di lavoro al personale infermieristico, oppure un sistema sanitario sempre più mercificato e trasformato in un business per aziende private. Ci troviamo di fronte a due opzioni diametralmente opposte. La campagna per dire NO a EFAS il 24 novembre è al centro di questo conflitto. Ecco perché è così importante.
Cure a domicilio: l’ingannevole comunicazione padronale
“Se le nostre badanti stanno bene, anche le persone assistite stanno bene”: una campagna di affissione sta attualmente spopolando sui cartelloni pubblicitari. Con questo slogan, che vuole essere amichevole, si invitano le “badanti” a rivolgersi… alle organizzazioni private di cura a domicilio – ASPS.
Il settore privato delle cure a domicilio è una giungla per il personale: le disposizioni della legge sul lavoro vengono ignorate, le spese di viaggio non vengono rimborsate, gli orari continuamente stravolti, viene richiesta una flessibilità totale e lo stress è costante: le testimonianze raccolte dai sindacati potrebbero riempire pagine intere. Di conseguenza, il turnover del personale è ai massimi storici: gli infermieri cambiano lavoro appena possono.
Ma, d’altro canto, la legge sul finanziamento dell’assistenza, entrata in vigore nel 2011, ha aperto un mercato quasi… illimitato a queste società private: tra il 2013 e il 2022, il loro personale è triplicato (+194%) e le ore di assistenza fornite sono aumentate ancora di più (+229%), tanto che la loro quota di mercato è passata dal 16% al 29% di tutta l’assistenza domiciliare fornita (OFS, 2024, Services de soins à domicile: évolution du financement, de 2013 à 2022).
Per continuare questa favolosa espansione e la valorizzazione del capitale che essa consente, è necessario assumere personale… da sfruttare. E lo si attira facendo balenare l’esatto contrario della realtà. La “comunicazione” dei datori di lavoro ha un’aria da 1984 orwelliano...