Nelle elezioni legislative, il voto al Nuovo Fronte Popolare ha espresso un massiccio rifiuto di ogni ipotesi di accesso al governo del Rassemblement National (RN) di Jordan Bardella e di Marine Le Pen. Al contrario, Macron ha creato una sorta di “coabitazione” con il RN, attraverso il fantoccio reazionario Michel Barnier, e ha dunque totalmente negato l risultato delle elezioni di luglio.
La nomina di Michel Barnier è l’ennesimo colpo di scena di una sequenza politica che dimostra – se ci fosse ancora qualche dubbio – che la Quinta Repubblica è costruita per preservare l’ordine e gli interessi dei più potenti. Dopo anni di inseguimento dell’estrema destra, ora siamo saliti di una tacca: il peso del duo Le Pen-Bardella sul governo di Barnier sta rafforzando la centralità e il potere dell’estrema destra.
È senso comune che Macron ha messo in atto un “colpo di stato” contro la democrazia, ma non si può trascurare che il suo atto costituisce anche un colpo di classe contro gli elettori popolari di sinistra, trattando il loro voto come nullo. E visto sotto questo angolo di approccio, il colpo di Macron ha e avrà conseguenze ben più gravi.
Voti “che contano” e voti “che non contano”
Rifiutandosi di prendere in considerazione il voto degli elettori popolari di sinistra, negando di fatto i risultati del voto di un’intera massiccia frangia della popolazione, Macron fa rivivere la nozione di “classi pericolose” e reintroduce nella sostanza il voto per censo che vigeva nel XIX secolo e che permetteva di votare solo ai cittadini più ricchi, escludendo le “classi pericolose” da qualsiasi suffragio.
Il suo putsch, dunque non ha solo un significato antidemocratico e autoritario ma anche, e per certi versi soprattutto, una motivazione sociale. Questo si constata nel suo rifiuto di mettere in discussione qualsiasi riforma delle pensioni o qualsiasi possibilità di aumento dei salari o semplicemente di giustizia sociale. Con il suo atto vuole annullare ogni aspirazione politica e sociale di classe, vuole annullare la sensazione dei giovani e degli operai di sentirsi vincitori dopo l’eccezionale mobilitazione di questa estate, vuole affermare che i loro metodi militanti e unitari, anche al di fuori degli strumenti tradizionali di espressione delle classi subalterne, che avevano dato un sapore proletario e sovversivo alla campagna elettorale, non valgono nulla.
Macron, la destra e tutto il padronato hanno voluto cancellare questo successo della mobilitazione dal basso, cercando, come sempre, di convincere gli oppressi della loro strutturale incapacità di emanciparsi. Dare a quella mobilitazione e al successo elettorale del NFP che ne è derivato un qualche valore sarebbe significato dare ulteriore fiducia ai giovani e ai lavoratori, fiducia nella propria forza, per così sentirsi incoraggiati ad andare oltre, anche oltre le pensioni o i salari.
La crescente politicizzazione della gioventù
L’affluenza alle urne nei quartieri popolari è aumentata in modo significativo in queste elezioni, e il voto è andato soprattutto alla France Insoumise, la frangia più radicale del NFP. La vittoria negata è stata quindi prima di tutto quella della gioventù proletaria dei quartieri, quella gioventù che Macron e la sua polizia avevano schiacciato con incredibile odio e con la peggiore violenza nell’estate del 2023. Una gioventù da tempo radicalizzata, ma ora anche politicizzata, capace di confluire e vivacizzare le lotte tradizionali della classe operaia. Dunque una gioventù per Macron e per la borghesia ancora più pericolosa di quanto non fosse un anno fa.
È a questo che Macron ha risposto. È questo spettro che li terrorizza che ha voluto esorcizzare decidendo di convivere con il peggior nemico delle banlieues, il Rassemblement National. Certo, questa partecipazione elettorale delle periferie e delle classi popolari, cioè questa crescita della politicizzazione andrà ben oltre le recenti elezioni.
Macron e le classi dominanti, puntando su di un’alleanza di fatto con l’estrema destra, tentano di rompere una possibile dinamica basata su un sentimento di vittoria, sulla fiducia delle classi oppresse nelle proprie forze, Macron ha prima puntato sulla rottura del Nuovo Fronte Popolare e della sua unità attorno ad un programma di governo radicale. Ma non ci è riuscito non tanto per la coerenza interna dei gruppi dirigenti di quella coalizione, ma a causa della persistente pressione dal basso che avrebbe fatto pagare prezzi astronomici a chi ne avesse minato la coesione.
I pericoli del governo Barnier
Dobbiamo fare i conti con il peggio: da un lato, una politica che sarà ancora più simile al programma dell’estrema destra, dall’altro, la capacità del RN di accumulare punti e posizionarsi per conquistare l’apparato statale alle prossime elezioni nazionali, che potrebbero avvenire già l’anno prossimo in caso di un altro possibile scioglimento. Sia chiaro: si tratterebbe di un nuovo corso, molto peggiore dal punto di vista sociale ed ecologico, per la ricerca dell’uguaglianza a prescindere dal genere, dall’orientamento sessuale, dalla percezione fisica del corpo o dalla disabilità, per le libertà collettive e individuali e per la solidarietà. Per il momento, abbiamo solo un piccolo assaggio di come sarebbe avere un presidente e un primo ministro del RN.
Ora, affidata la presidenza del consiglio a Barnier, e dunque dopo aver dato un’immagine spudoratamente di destra al nuovo esecutivo, Macron potrebbe ritentare con i settori più moderati del Partito socialista. Ma l’operazione ha già il suo marchio di fabbrica di “centrodestra”, totalmente condizionato dalla “non sfiducia” del Rassemblement National.
È una scelta aggressiva e pericolosa, ma almeno ha il “pregio” della chiarezza: Macron è contro il NFP e perciò si schiera con il RN e il RN aiuta Macron nel cancellare la vittoria del NFP.
Le possibili dinamiche
Non si tratta solo di schieramenti politici parlamentari. Macron e la destra temono che il successo del Nuovo Fronte Popolare, ottenuto grazie a una mobilitazione senza precedenti delle classi inferiori e dei giovani, possa aprire la porta a una consapevolezza e a una rabbia popolare ancora maggiori, proprio come accadde nel maggio 1936, con una vittoria che aprì le porte nelle settimane immediatamente successive allo sciopero generale, alla conquista delle ferie retribuite, della settimana di 40 ore, dei contratti collettivi, dei diritti sociali e sindacali… tutto poi concesso per impedire l’avvio di un processo che era a tutti gli effetti rivoluzionario.
Ma Macron e i suoi, con le loro manovre finalizzate a cancellare il senso di vittoria, non sono riusciti a bloccare la dinamica di mobilitazione, e le manifestazioni del 7 settembre ne sono state la conferma. La grande partecipazione di massa, nonostante l’assenza di appelli da parte delle direzioni dei sindacati o del Partito Socialista e una partecipazione sottotono del PCF e dei Verdi, ha confermato che la fiducia dei giovani e delle classi lavoratrici è ancora molto viva. (nella foto in alto un’immagine della manifestazione parigina del 7 settembre)
E questa persistente fiducia segnerà tutto il periodo a venire. Tutte le future mobilitazioni, anche quelle tradizionali dei sindacati, ne risentiranno. Milioni di persone non hanno più fiducia nelle elezioni e nelle istituzioni della Quinta Repubblica, ma ripongono sempre più le loro aspirazioni nelle mobilitazioni di piazza.
La fragilità del progetto macroniano
Milioni di “persone comuni”, la maggior parte delle quali non ha alcuna esperienza politica precedente, hanno preso a partecipare a eventi “fuori del comune”, straordinari, che “fanno la storia” e cambiano, seppur ancora molto parzialmente, lo “stato di cose presenti”. Annullando la volontà e le aspirazioni del popolo della sinistra, escludendolo sostanzialmente dal processo elettorale, Macron sta portando questi “nulla” a voler diventare “tutto”.
Macron non si è limitato a rubare le elezioni, ma ha cercato di rubare il successo della mobilitazione delle classi lavoratrici, per impedire qualsiasi senso di vittoria, in particolare tra i giovani proletari delle periferie.
Questa dinamica agita anche il movimento sindacale: per una malintesa concezione dell’autonomia, le direzioni sindacali non hanno aderito al 7 settembre, ma molti sindacati locali e di settore hanno disobbedito e hanno organizzato la loro partecipazione.
Il processo di impeachment avviato da LFI non ha ovviamente possibilità di successo istituzionale, ma ha il pregio di mantenere la questione del “colpo” di Macron al centro delle notizie e delle agitazioni.
La mobilitazione sindacale del 1° ottobre potrebbe essere un’occasione tale da cambiare il suo significato al di là delle volontà dei suoi organizzatori e diventare una manifestazione politica e sindacale ancora più ampia del 7 settembre.
Il procedimento giudiziario alla famiglia Le Pen e a 26 altri dirigenti del RN che inizierà il 30 settembre per “appropriazione indebita organizzata di fondi europei” potrebbe rappresentare un’altra opportunità.
Non si dimentichi che persino il “maggio francese” del 1968 era stato preceduto dal risultato controverso delle elezioni del 1967, con un’analoga sensazione generale di “furto elettorale”.