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Quando un marxista rivoluzionario viene interrogato sulla situazione di un Paese, ha tre quadri referenziali e categoriali ai quali riferirsi per rispondere.

Il primo quadro, basilare ed elementare, prioritario e decisivo rispetto agli altri, si riferisce alle condizioni della classe lavoratrice, in particolare alla sua situazione materiale di vita e di lavoro (salari, inflazione, potere d’acquisto, accesso ai servizi di base e alla sicurezza sociale) e al regime di libertà politiche in cui si svolge il suo processo di presa di coscienza come classe (in particolare: libertà di organizzazione sindacale, libertà di concludere contratti collettivi di lavoro, di presentare richieste alternative, diritto di sciopero, diritto ad organizzare mobilitazioni, possibilità di organizzarsi in partiti politici rivoluzionari, libertà di opinione e di produzione intellettuale, etc.)

Il secondo, riguarda le condizioni in cui la borghesia e le classi (e caste) dominanti si appropriano della ricchezza, il modello dominante di accumulazione capitalistica, le caratteristiche del modello di rappresentanza politica che esprime il dominio borghese e il regime di libertà politiche di cui i ricchi dispongono per diventare sempre più ricchi.

Il terzo quadro, il rapporto delle borghesie nazionali con gli Stati imperialisti e i centri del capitalismo mondiale, che implica un dibattito aggiornato sui tipi di antimperialismo, tra cui i riposizionamenti delle borghesie nazionali e dei loro sistemi di relazioni che possono causare crepe temporanee nei loro legami storici con il centro imperialista, e che vengono presentati come “antimperialismo”. Qualsiasi contraddizione temporanea o circostanziale non può infatti essere considerato un atteggiamento antimperialista. Oggi, un antimperialismo coerente e duraturo deve contemplare una dimensione anticapitalista.

È impossibile raggiungere una comprensione completa del secondo e del terzo quadro di analisi categoriale senza una corretta definizione del primo.

Dalle prime ore del 29 giugno 2024, quando il presidente del Consiglio nazionale elettorale (CNE) venezuelano, Elvis Amoroso, ha annunciato i risultati delle elezioni tenutesi il giorno precedente, è scoppiata una polemica sulla trasparenza e sull’affidabilità dei dati alla base di quell’annuncio. Questa situazione ha generato un dibattito e una spaccatura nella sinistra internazionale attorno a tre poli principali: il primo, quello della geopolitica; il secondo, quello del negoziato per superare la crisi di legittimità; e il terzo, quello del punto di vista del mondo del lavoro.

Il blocco di maggioranza, quello della geopolitica, vede tutto in termini di “sinistra al governo” contro “destra e ultradestra all’opposizione”. Le categorie di destra e sinistra sono significanti vuoti se non partono dalla configurazione e dai confronti tra le classi sociali, dai processi di accumulazione del capitale e dalle relazioni di oppressione o liberazione con le classi subalterne, in particolare la classe operaia.

I sostenitori di questa concezione tutta geopolitica non menzionano i processi di formazione di una nuova borghesia nel processo bolivariano, evidenziati da eventi come la crisi bancaria del 2009 (chiusura di banche create con capitali provenienti da rapporti con il governo) o la rivelazione della mega-corruzione dell’affare PDVSA-Cripto che ha coinvolto un centinaio di dirigenti del PSUV, tra cui uno dei membri dell’ufficio politico (si è parlato di 3 miliardi di dollari, poi di 15 miliardi di dollari e, più recentemente, di 23 miliardi di dollari).

Non basta mantenere un discorso di sinistra per essere di sinistra, se questo serve a nascondere l’incubazione di un settore borghese e il mantenimento del modello di accumulazione borghese centrato sulla rendita. I programmi e le azioni dei governi devono essere valutati al di là delle formalità discorsive, ed è quindi importante confrontarli o metterli in relazione con la logica dell’accumulazione e della distribuzione della ricchezza nazionale.

Il blocco geopolitico omette questo aspetto. Non consulta la sinistra storica venezuelana – l’autentico PCV, il vero PPT, gli storici Tupamaros, tra gli altri – per capire se c’è coerenza e consistenza tra la definizione di sinistra del governo e la sua pratica.

Il peggiore degli argomenti della “sinistra geopolitica” è che se il governo venezuelano “cadrà” avrà un effetto disastroso sulla formazione e sull’avanzata della sinistra nel loro Paese, ignorando il crescente discredito sociale continentale e globale del madurismo nei loro Paesi, che è ciò di cui dovrebbero preoccuparsi per davvero.

Ma, inoltre, nel migliore dei casi, questa definizione “geopolitica” implica la richiesta di sacrificio della classe operaia venezuelana, di accettazione sottomessa delle sue condizioni di sfruttamento e oppressione nel proprio Paese, affinché le altre sinistre a livello internazionale possano, come un tappo di sughero, rimanere a galla. È terribile anche solo pensare di chiedere alla classe lavoratrice venezuelana di fare questo sacrificio.

Il secondo blocco è quello del negoziato, dell’accordo per uscire dalla crisi. In questo sforzo troviamo i governi del Brasile (Lula), della Colombia (Petro), fino a poco tempo fa del Messico (AMLO) e, a intermittenza, del Cile (Boric). Questo settore sembra essere ispirato dal desiderio di evitare un ulteriore deterioramento sociale e la possibilità di generare un clima di agitazione e guerra civile nel Paese. Nonostante le lodevoli buone intenzioni, i loro sforzi hanno il difetto di omettere due elementi fondamentali: 1) la situazione materiale e le libertà della classe lavoratrice venezuelana e 2) il fatto che l’autentica sinistra venezuelana (PCV, PPT, Tupamaros e altri gruppi che non sono stati autorizzati a legalizzare i loro partiti) è fuorilegge, non ha la possibilità di ottenere una personalità giuridica né di partecipare autonomamente al contesto elettorale. Questa omissione non è un problema di poco conto.

Recentemente, questo settore ha proposto (Lula e Petro) di indire nuove elezioni nazionali per superare lo stallo generato dal rifiuto del governo di rendere pubblici i verbali che sostengono la dichiarazione della vittoria di Maduro, mentre l’opposizione ha pubblicato sul proprio sito web oltre l’81% delle copie dei verbali, che il governo accusa di non essere autentici. Questa proposta di nuove elezioni deve essere intesa come un percorso di continuità con le politiche di accordo inter-borghese (vecchia e nuova borghesia) promosse dal governo Maduro tra il 2018-2024, che non si sono concluse per la resistenza di un settore della vecchia borghesia di cui fa parte María Corina Machado (MCM) e che lei rappresenta.

Ovviamente non si potevano organizzare nuove elezioni a breve termine, perché avrebbero portato a una nuova impasse, ma si sarebbero dovute organizzare a medio termine (due anni o più), precedute dalla formazione di un governo di coabitazione, consenso o integrazione che costruisse la fattibilità di una possibile transizione (leggi per proteggere il regime di Maduro dall’incarcerazione, garanzie per la nuova borghesia che i suoi beni sarebbero stati rispettati e che avrebbe potuto continuare ad accumulare). MCM si è prontamente opposta a questa proposta perché rappresenta un settore liquidazionista della nuova borghesia, che va nella direzione di formattare tutto ciò che è accaduto – e che è stato accumulato dalla nuova borghesia – negli ultimi venticinque anni.

In altre parole, la questione centrale oggi – uscire dall’impasse ciclica della logica del capitale – è un accordo inter-borghese, ma raggiungerlo non significa risolvere la crisi del modello di accumulazione e di rappresentanza politica della borghesia iniziata nel 1983, ma apre strade in quella direzione. Le politiche di rovesciamento della borghesia madurista o del settore borghese rappresentato da Machado cominciano a preoccupare la borghesia latinoamericana, perché potrebbero creare una situazione incontrollabile; la mediazione dei presidenti progressisti della regione cerca di evitare questo rischio, costruendo un punto di incontro tra i settori borghesi in conflitto.

In fila per ricevere un pasto dal programma di aiuto della parrocchia di Carapita – distribuzione agli adulti

Il terzo blocco è costituito dalle varie sfumature della sinistra che si basa sull’analisi di classe. Questo settore, minoritario nelle sue relazioni partitiche a livello internazionale, ha difficoltà a far valere le proprie ragioni di fronte al vortice mediatico che afferma l’idea della polarizzazione in due blocchi antagonisti (destra contro sinistra, ignorando la lotta interborghese e l’esistenza di organizzazioni a sinistra del Madurismo).

La sinistra venezuelana non madurista ha la migliore comprensione di ciò che sta accadendo strutturalmente, ma tende ad avere difficoltà a proporre analisi in un linguaggio comprensibile alla maggioranza della popolazione, che vada oltre atteggiamenti di pura denuncia, il settarismo o una logica da ultrasinistra e, persino, una politica fondata su odio e rancore. Questo settore deve rinnovare il proprio discorso per avere più peso nel dibattito e contribuire a chiarire la situazione delle organizzazioni sociali e politiche in ambito internazionale.

Il discorso che presenta la situazione oggi esistente in Venezuela come una contraddizione tra destra e sinistra o che, anche di fronte agli errori del Madurismo, privilegia la sua “indipendenza” dall’imperialismo statunitense, costituisce un ampio spettro di posizioni attribuito a quel che viene definito come “campismo” e che oggi appare come preponderante.

L’imperdonabile omissione della sinistra campista (che pone tutto in termini di bianco e nero) è che il punto centrale delle sue prese di posizione e della sua analisi non è la condizione materiale della classe lavoratrici in Venezuela e le molteplici cause che hanno condotto a questa situazione; cause  che includono certamente l’effetto del blocco statunitense, ma anche le politiche neoliberiste e antioperaie del governo Maduro.

*articolo apparso sulla rivista Inprecor il 20 settembre 2024. Traduzione a cura del segretariato MPS.