Dopo oltre 10 anni di guerra civile, la popolazione è alle prese con un complicatissimo processo di ripresa e ricostruzione. Le prime misure del governo lo dimostrano.
La caduta del regime di Assad nel dicembre 2024 aveva riacceso le speranze per il futuro della Siria. Tuttavia, dopo appena qualche mese, sono emerse o si sono acuite numerose difficoltà: frammentazione territoriale e politica, ingerenze e occupazioni da parte di forze straniere, tensioni settarie, in particolare dopo il massacro della popolazione alawita nelle regioni costiere, e assenza di una fase di transizione politica inclusiva e democratica. Queste dinamiche ostacolano una possibile ripresa economica e un futuro processo di ricostruzione, entrambi urgentemente necessari.
Le difficoltà attuali
Più della metà dei siriani resta sfollata, o all’interno del Paese o all’estero. Il 90% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e, secondo le Nazioni Unite, 16,7 milioni di persone – tre su quattro – hanno avuto bisogno di aiuti umanitari.
Migliorare le condizioni socio-economiche è cruciale sia per il futuro della Siria che per una più ampia partecipazione del popolo siriano all’attuale transizione politica. Inoltre, la ripresa e la ricostruzione avranno bisogno dell’assistenza finanziaria internazionale.
Il costo della ricostruzione della Siria si stima tra i $250 e i $400 miliardi. L’assistenza finanziaria internazionale, con il coinvolgimento dello Stato, dovrebbe essere utilizzata per la ricostruzione delle abitazioni della popolazione sfollata e per rilanciare i settori produttivi dell’economia, evitando di alimentare dinamiche speculative e commerciali.
Gli investimenti stranieri, tuttavia, sono ancora ostacolati dalle sanzioni imposte alla Siria e al Hayat Tahrir al-Sham (HTS). A fine febbraio 2025 l’Unione europea e il Regno Unito hanno sospeso le sanzioni dirette verso determinati settori e specifici enti siriani. Le estese sanzioni statunitensi restano il più grande ostacolo. A gennaio l’amministrazione Biden ha alleggerito quelle sul settore energetico e sulle rimesse personali. La nuova amministrazione Trump, invece, non ha ancora definito una politica chiara sulla Siria o una posizione sulle sanzioni.
Detto ciò, anche in assenza di tali misure restrittive, la Siria si confronta con profondi problemi economici strutturali che rallentano la ripresa economica e il potenziale futuro del processo di ricostruzione.
L’instabilità della lira siriana (SYP) rappresenta un altro problema significativo. All’indomani della caduta del regime di Assad, il suo valore sul mercato nero ha subito un’impennata a causa del flusso di valute estere, delle aspettative di sostegno da parte di attori regionali e occidentali, di politiche monetarie volte a ridurre l’offerta di SYP sul mercato e della dollarizzazione informale. Tuttavia, la strada verso la stabilizzazione della lira siriana è ancora lunga, scoraggiando così gli investitori alla ricerca di ritorni rapidi o a medio termine.
Inoltre, alcune regioni del nord-ovest utilizzano da diversi anni la lira turca per stabilizzare i mercati danneggiati dal forte deprezzamento del SYP. Anche il dollaro statunitense è ampiamente diffuso nel Paese. La reintroduzione della SYP come valuta principale potrebbe dunque rivelarsi problematica in assenza di stabilità.
Le infrastrutture e le reti di trasporto siriane restano gravemente danneggiate. I costi di produzione sono elevati e persistono gravi carenze di beni essenziali e risorse energetiche. La Siria soffre anche di una carenza di manodopera qualificata e non è ancora chiaro se e quando questi lavoratori specializzati saranno di ritorno.
Il settore privato, costituito prevalentemente da piccole e medie imprese con capacità limitate, necessita ancora di una significativa modernizzazione e ricostruzione dopo oltre 13 anni di guerra e distruzione. Anche le risorse statali risultano gravemente ridotte, limitando ulteriormente la possibilità di investimenti nell’economia.
Le principali risorse petrolifere siriane si concentrano nel nord-est del Paese, attualmente sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est (AANES) a guida curda. Un recente accordo tra la presidenza siriana e AANES dovrebbe facilitare l’accesso di Damasco a queste risorse. Tuttavia, la produzione siriana di petrolio e gas naturale ha continuato a diminuire drasticamente dal 2011. La produzione di petrolio è scesa da 385mila barili al giorno nel 2010 a 110mila all’inizio del 2025 – una quantità ampiamente insufficiente per soddisfare il fabbisogno locale. Prima della caduta di Assad, l’Iran forniva gran parte del petrolio siriano, ma da allora questo sostegno è cessato.
Con il continuo aumento del costo della vita e la svalutazione della SYP, i siriani sono diventati sempre più dipendenti dalle rimesse. Il volume di queste ultime è superiore sia agli investimenti diretti esteri in Siria, che sono stati minimi dal 2011, sia agli aiuti umanitari, che negli ultimi anni hanno superato in media i 2 miliardi di dollari all’anno.
Le prime decisioni
Nel frattempo, l’orientamento e le decisioni economiche del governo, che eccedono il suo mandato temporaneo e impongono o promuovono la sua visione economica come paradigma futuro per la Siria, stanno consolidando e accelerando un paradigma neoliberale, accompagnato da misure di austerità. Questo tipo di politica favorisce principalmente gli interessi delle classi imprenditoriali. Il leader di HTS, Ahmad al-Sharaa, e i suoi ministri hanno infatti organizzato numerosi incontri con gli uomini d’affari siriani, sia all’interno che all’esterno del Paese, per illustrare le loro visioni economiche e ascoltare le loro richieste, al fine di soddisfare i loro interessi.
Inoltre, sono emersi segnali concreti che HTS stia accelerando il processo di privatizzazione e implementando misure di austerità nel Paese. Prima della sua partecipazione al World Economic Forum di Davos, il ministro degli Esteri siriano, Asaad al-Shaibani, ha dichiarato al Financial Times che i nuovi governanti intendono privatizzare i porti e le fabbriche statali, attrarre investimenti stranieri e incrementare il commercio internazionale. Ha inoltre aggiunto che il governo “esplorerà i partenariati pubblico-privati per incoraggiare gli investimenti in aeroporti, ferrovie e strade”.
Con riguardo alle misure di austerità, sono già state adottate numerose decisioni. Il prezzo del pane sovvenzionato è stato aumentato da 400 SYP (peso 1.100 grammi) a 4.000 SYP (inizialmente peso 1.500 grammi e poi diminuito a 1.200 grammi). Nei mesi successivi è stata annunciata la fine dei sussidi per il pane, in linea con la liberalizzazione del mercato. Qualche settimana dopo il ministro dell’Elettricità, Omar Shaqrouq, ha dichiarato in un’intervista nel gennaio 2025 per il sito The Syria Report che il governo prevede una progressiva riduzione – o addirittura eliminazione – delle sovvenzioni sull’elettricità visto che “i prezzi attuali sono molto bassi, al di sotto del loro costo, ma solo in maniera graduale e a condizione che i redditi medi aumentino”. Attualmente l’approvvigionamento elettrico da parte delle istituzioni statali nelle principali città del Paese non supera le due ore al giorno. Nel frattempo, il prezzo della bombola di gas domestico sovvenzionato è stato aumentato da 25.000 SYP (2,1 dollari) a 150.000 SYP (12,5 dollari), con gravi ripercussioni per le famiglie siriane.
Inoltre, il ministro dell’Economia e del Commercio estero ha annunciato il licenziamento di un quarto o un terzo del personale statale, corrispondente ai dipendenti che, secondo le nuove autorità, percepivano uno stipendio senza lavorare. Al momento non ci sono stime sul numero complessivo di lavoratori licenziati, mentre alcuni dipendenti risultano in congedo retribuito per tre mesi in attesa di chiarimenti sulla loro effettiva posizione lavorativa. Dopo questa decisione, in tutto il Paese sono scoppiate le proteste dei lavoratori licenziati o sospesi.
Sebbene sia stato annunciato un aumento dei salari dei lavoratori del 400% per febbraio 2025, portando il salario minimo a 1.123.560 SYP (circa 93,6 dollari), tale misura, ancora in attesa di attuazione, resta insufficiente per far fronte alla crisi del costo della vita. Secondo le stime fatte dal quotidiano Kassioun alla fine di marzo 2025, il costo minimo della vita per una famiglia siriana composta da cinque membri residente a Damasco si eleva a 8 milioni di lire siriane al mese (il corrispettivo di 666 dollari).1
A fine gennaio 2025 Damasco ha ridotto i dazi doganali su oltre 260 prodotti turchi. Le esportazioni turche verso la Siria nel primo trimestre di quest’anno sono state pari a circa 508 milioni dollari, con un aumento del 31,2% rispetto allo stesso periodo del 2024 (quasi 387 milioni), secondo il ministero turco del Commercio. Funzionari siriani e turchi hanno inoltre espresso la volontà di riaprire i negoziati per l’Accordo di libero scambio tra Siria e Turchia del 2005, sospeso dal 2011, con l’obiettivo di espandere la cooperazione economica. Tuttavia, questo può impattare negativamente la produzione nazionale siriana, in particolare nel settore manifatturiero e agricolo, che potrebbe competere a fatica con le importazioni turche. Il precedente accordo del 2005 aveva avuto effetti devastanti sull’industria locale, portando alla chiusura di numerosi stabilimenti, soprattutto nelle periferie delle principali città.
In conclusione, la Siria si trova ad affrontare urgenti sfide socio-economiche. In questo contesto, le questioni sociali ed economiche devono essere affrontate rapidamente per migliorare le condizioni di vita e la capacità della popolazione di partecipare nella vita politica durante la transizione. Tuttavia, l’orientamento economico-politico del nuovo governo, caratterizzato dal desiderio di una maggiore liberalizzazione, privatizzazione, austerità e tagli dei sussidi non farà altro che aumentare le disuguaglianze sociali, l’impoverimento, la concentrazione della ricchezza nelle mani di una minoranza e l’assenza di sviluppo produttivo – tutti elementi alla base della rivolta popolare del 2011.
*articolo apparso sul sito dell’ISPI il 18 aprile 2025.
1 Alla vigilia del Ramadan, il Consiglio norvegese per i rifugiati ha intervistato diverse persone con redditi diversi, che hanno stimato che il costo mensile di cibo, affitto e utenze ammonta a 3 milioni di lire siriane, o 300 dollari americani, per famiglia, soprattutto a causa della costante fluttuazione del tasso di cambio e della volatilità del mercato.