Fascino e realtà dei Brics

Tempo di lettura: 5 minuti

L’agglomerato di Stati (Brasile, Russia India, Cina e Sud Africa) conosciuto con l’acronimo Brics costituisce un elemento centrale della riconfigurazione del sistema capitalista mondiale, dopo la scomparsa dell’Unione sovietica e degli Stati postcapitalisti dell’Europa orientale.

Nello stesso tempo, le dinamiche dei Brics sono elemento di fascinazione per le forze della sinistra antagonista, tanto da spingere qualcuna di queste a un nuovo approccio politico-strategico segnato, a mio avviso, da una pesante torsione di rotta nella lotta al capitalismo, dimenticando la vecchia bussola marxista del “Proletari di tutti i Paesi unitevi”.

Operiamo nel quadro angosciante della plurima crisi del sistema capitalistico e dell’accelerarsi della crisi ambientale, della sempre più sfrenata corsa al profitto e al riarmo mentre, sul piano politico, proliferano i nazionalismi e le ideologie reazionarie e fasciste, con settori importanti della borghesia disponibili a utilizzare queste forze per affrontare le crisi.

Operiamo dopo che negli scorsi decenni le classi lavoratrici hanno subito pesantissime sconfitte in molti paesi e segnatamente in Europa.

Brasile, Russia India e Cina sono gli Stati che nel 2009 (dal 2010 anche il Sud Africa) hanno costituito i Brics. Ad essi si sono aggiunte altre potenze emergenti a carattere regionale come Egitto, Indonesia, Emirati Arabi Uniti, Iran. La Turchia è associata e la lista delle nazioni che hanno lo stato di partner o chiesto l’adesione è lunga. Sono nazioni con percorsi storici specifici, dimensioni economiche diverse, molte volte governati da regimi politici autoritari, ma che hanno una comune natura capitalista, rispondono alle logiche di fondo di questo sistema economico.

I loro tentativi di costruire una struttura finanziaria alternativa al dominio del dollaro, per ora, hanno conseguito risultati parziali.

Di fronte a questa configurazione la sinistra anticapitalista dovrebbe avere attenzione, ma anche massima distanza. Invece, alcune forze, nostalgiche del vecchio campo socialista o forse condizionate dalle sconfitte subite dalle classi lavoratrici, mettono da parte almeno per ora la lotta per il socialismo sostituendola con un presunto realismo e una illusoria speranza che i Brics possano portare a un mondo migliore multipolare, avendo come unico asse la lotta contro l’imperialismo principale quello americano. Un mondo con nuovi attori e nuovi equilibri, ma un mondo sempre capitalista. È una strategia politica che subordina inevitabilmente il ruolo delle classi popolari dei Brics e di altri Paesi emergenti.

La dominanza assoluta economica politica e militare degli Stati Uniti, emersa dopo la Seconda guerra mondiale, aveva già subito un ridimensionamento dopo la sconfitta in Vietnam, la grande recessione del 1973 e la fine del grande ciclo espansivo. La caduta del blocco sovietico e poi la mutazione della Cina in grande potenza capitalista hanno permesso l’estensione mondiale del sistema capitalista.

Il capitale, il modo di produzione capitalista è diventato totalmente dominante nel pianeta. La successiva mondializzazione e la dirompente crisi recessiva del 2009 hanno, infine, determinato una nuova configurazione e nuovi rapporti di forza tra le potenze capitaliste, compreso l’emergere dei Brics, anche se gli Usa restano pur sempre l’imperialismo principale.

Chi è uscita maggiormente vincente è la Cina, che può presentarsi oggi come il Paese che più difende il libero mercato e un’economia mondiale aperta a merci e capitali. La Russia post sovietica, in profonda crisi dopo la caduta dell’Urss, grazie alla potenza militare mantenuta e alle risorse energetiche, si è rifondata come grande potenza capitalista ricostruendo il vecchio impero zarista e consolidando un regime politico reazionario e autoritario.

Così la nuova fase del capitalismo è caratterizzata dal duro scontro tra gli imperialismi maggiori, con un ruolo importante di quelli regionali in ascesa, tutti impegnati a impadronirsi delle ricchezze del mondo, cioè alla ripartizione del plusvalore prodotto dalle classi lavoratrici.

La concorrenza domina le vicende del pianeta ed è tanto più forte perché le dinamiche economiche espansive sono deboli. La guerra dei dazi può passare alla guerra dei cannoni. Non a caso nelle trattative di pace Usa-Russia sull’Ucraina si discute della spogliazione delle ricchezze di questo paese.

Avendo presente la storia del ‘900, ma anche e soprattutto le scelte degli Usa disposti a tutto pur di non perdere la loro egemonia nel mondo, con le scelte di Putin, con la brutale invasione della Ucraina, e quelle di Ursula von der Leyen e Mario Draghi per lo sviluppo economico bellicista della Ue, con la Germania a tirare la volata, si corre verso nuove guerre a partire da quelle in corso e dal martirio del popolo palestinese.

Con i Brics non abbiamo di fronte uno schieramento (o qualche Stato) che rimetta in discussione il sistema capitalistico. Non abbiamo neppure il vecchio schieramento dei Paesi “non allineati”, che aveva qualche profilo progressista e anticoloniale. Abbiamo nazioni del tutto interne all’attuale realtà del capitalismo. Abbiamo forze che in relazione alle convenienze possono modificare le loro alleanze, o giocare su più tavoli (vedi l’India). Forze che fanno finta di sostenere qualche lotta popolare che si svolge in paese avverso, ma contrastano e reprimono le mobilitazioni sociali interne.

Non abbiamo nessuna nostalgia per l’egemonia americana, fonte di tante guerre, ma neanche possiamo accontentarci di un mondo multipolare capitalista, per altro già presente all’inizio del ‘900 con il disastro che seguì.

Il grave errore che compiono le organizzazioni nostalgiche del campismo (la divisione del mondo in blocchi geopolitici contrapposti, NdR) e quelle speranzose del mondo multipolare è di abbandonare l’analisi marxista che parte sempre dalle classi. Si sostituisce il riferimento alle classi sociali – che in tutti i paesi lottano per la loro emancipazione, per i diritti sociali, economici e democratici (gli stessi per cui ci battiamo in Italia) – con quello degli Stati (quindi dei loro gruppi dirigenti), tutti quanti interni al quadro capitalista.

Si deve invece partire dalle classi sfruttate e oppresse in tutti i paesi (in qualcuno in forme particolarmente infami) e si deve sostenere le loro difficili lotte. Si deve denunciare la propaganda delle direzioni politiche dell’Occidente che dietro la retorica democratica (una democrazia per altro frutto delle lotte delle classi lavoratrici e sempre più declinante per le scelte della borghesia) vogliono mantenere le loro aree di dominio e sfruttamento, riproponendo razzismo e nuove forme di colonialismo.

Ma bisogna anche denunciare la natura fasulla della retorica antimperialista delle direzioni delle potenze emergenti, molte volte repressive e antidemocratiche con il loro popolo.

Rinunciare a sostenere le lotte popolari di questi paesi in nome del presunto “ruolo antimperialista” dei loro gruppi dirigenti borghesi, magari profondamente reazionari, quando non fascisti, è smarrire il senso profondo di una alternativa ecosocialista.

Se si ragiona in termini di Stati nello scontro interimperialista si finisce per commettere lo stesso errore della socialdemocrazia all’inizio del Novecento, quando ciascun partito della Seconda internazionale, con pochissime eccezioni, scelse il suo fronte nella guerra borghese.

Vale quanto ha scritto l’ex parlamentare greco Costas Lapavitsas (Jacobin Italia, 13 settembre 2024) “La sinistra socialista deve opporsi all’imperialismo, pur riconoscendo che gli Stati uniti sono il principale aggressore. Ma bisogna farlo da una posizione indipendente, apertamente anticapitalista e che non si faccia illusioni su Cina, India, Russia e altri contendenti, tanto meno sui «vecchi» imperialisti. Il percorso dev’essere quello della trasformazione anticapitalista interna, basata sulla sovranità popolare e abbinata alla sovranità nazionale che cerca l’uguaglianza internazionale. Si tratterebbe di un vero internazionalismo, basato sul potere delle lavoratrici, dei lavoratori e dei poveri. Come possa tornare a essere una vera forza politica è il problema più profondo del nostro tempo”.

*Articolo tratto da Il Granello di Sabbia n. 54 di Aprile- Maggio 2025: “L’Europa che non c’è“.  Segnaliamo a questo proposito due dettagliati e interessanti articoli di Eric Toussaint apparsi sul nostro sito: qui e qui. (Red)

articoli correlati

Sudan

L’altra catastrofe: genocidio e fame in Sudan

Spagna - Sanchez primo ministro

Spagna. L’acquisto di munizioni da Israele apre una crisi nel governo

manifestazione bellinzona

Non è normale. Appello per una manifestazione femminista il 14 giugno 2025