In Italia ha fatto molto discutere la campagna della catena di supermercati Pam del Veneto per assumere studenti disposti a lavorare la domenica.
In sostanza, attraverso inserzioni pubblicitarie, la catena di distribuzione ha cercato personale iscritto ad un’università o a una scuola superiore per l’anno accademico 2011/2012 disposto a essere assunto per lavorare solo la domenica.
Le candidature sono state numerossime. In pochi giorni, solo nella regione di Venezia, più di 9000 giovani hanno inviato il loro curriculum. I posti a disposizione sono circa 300 per un compenso mensile di 400 euro. Alcuni candidati sono già stati selezionati e hanno cominciato a lavorare proprio domenica scorsa.
Il quotidiano La Repubblica riporta alcune testimonianze di questi ragazzi. Si tratta in particolare di giovani studenti che per non pesare sul bilancio famigliare vedono di buon occhio un impiego occasionale; in alcuni casi i giovani dichiarano di svolgere già alcuni lavori serali e di aver approfittato dell’occasione per poter lavorare anche la domenica. Interessante, in particolare, la testimonianza di un giovane che svolge già due lavori, studia di sera e ha deciso di lavorare anche la domenica e dice “quando ho visto che potevo lavorare anche la domenica mi ci sono buttato subito. Da che è scoppiata la crisi ho messo da parte tutto e ho pensato solo al lavoro, poi ho proseguito gli studi e pazienza per tutto il resto”.
Questa vicenda ci insegna fondamentalmente due cose. Da una parte la situazione economica e sociale e la crisi economica hanno decisamente portato a un degrado delle condizioni di vita e i giovani sembrano esserne colpiti in maniera rilevante. Lo studio non è più un diritto garantito a tutti, ma può essere perseguito solo con notevoli sacrifici. Per potersi permettere il “lusso” di studiare la maggioranza dei giovani deve anche lavorare e parecchio (anche da noi le cose non sono diverse: due terzi degli studenti universitari in Svizzera svolge comunque un’attività accanto agli studi). Tutto questo con conseguenze rilevanti sulla qualità della vita. Senza contare che sempre di più oggi avere una formazione non significa garanzia di un posto di lavoro sicuro e confacente alla formazione ricevuta. Oltre al danno quindi si rischia anche la beffa: si studia facendo notevoli sacrifici e poi per finire si rischia comunque di avere un lavoro precario, sottopagato e magari in un settore che non ha nulla a che vedere con quello in cui ci si è formati.
Dall’altra sembra evidente che questa situazione di precarietà e di assoluto bisogno di lavorare venga pienamente sfruttata dai datori di lavoro che si rivolgono a questi settori di lavoratori, disposti ad accettare qualsiasi condizione di impiego, per non aumentare in maniera stabile e duratura l’occupazione, ma per poter rispondere comunque ad una loro esigenza di produzione o di vendita. Le politiche di liberalizzazione delle condizioni di lavoro, nella fattispecie le aperture domenicali, non creano quindi nuova occupazione o per lo meno non in termini di occupazione stabile, garantita e remunerata in maniera dignitosa.
Un sistema di assunzioni che poi spinge a degradare e peggiorare le condizioni di lavoro di tutti. Facendo leva sui settori meno protetti della manodopera e più disponibili (i giovani, le donne e gli immigrati) i datori di lavoro ne approfittano per poi imporre a tutti quanti condizioni di lavoro e di salario peggiori.
Un modo efficace per dividere e frammentare la forza lavoro e diminuirne la sua capacità di contrattazione e di rivendicazione dei diritti fondamentali. Politiche contro le quali è quindi necessario continuare a battersi con determinazione.