Per i padroni, per la borghesia svizzera, è un ottimo periodo. La loro ricchezza continua ad aumentare. Nel 2013 i dividendi delle duecento principali aziende quotate in borsa è aumentato tra 8% ed il 12%, pari ad circa 42 miliardi. Dati confermati dall’inchiesta annuale che la rivista svizzero tedesca Bilanz pubblica sulle 300 persone più ricche della Svizzera. La loro fortuna è passata da 470 miliardi del 2010 a 589 miliardi nel 2014. Un aumento annuo di 30 miliardi.
A chi vive del proprio lavoro va decisamente meno bene. I salari stagnano o diminuiscono, aumentano le forme di lavoro precario, aumenta la sofferenza sul posto di lavoro e tanto altro. I due aspetti sono collegati. Più ai padroni, meno ai salariati.
In questi ultimi dieci anni uno degli elementi fondamentali di questa dinamica è stata la strategia degli accordi bilaterali e la conseguente liberalizzazione di un mercato del lavoro di per se già estremamente fragile e poco regolamentato: meno del 50% degli occupati ê coperto da un contratto collettivo, solo un 30% degli occupati è attivo in un settore dove esiste un salario minimo, il più delle volte limitato a funzioni non qualificate ed inferiore a 4000 franchi.
Una strategia di liberalizzazione del mercato del lavoro condotta ormai da un decennio dalle classi dominanti e condivisa dalle direzioni del movimento sindacale e da Verdi e socialiberali. Costoro si sono accontentati di vaghe promesse (le cosiddette misure di accompagnamento) che, alla prova dei fatti, hanno mostrato la loro totale inconsistenza. Il continuo riferimento al loro miglioramento altro non è stato (e continua ad essere) che un tentativo di far dimenticare le proprie responsabilità per l’affermarsi di una configurazione politica e sociale non certo favorevole ai salariati.
In Ticino Governo e Parlamento si sono particolarmente distinti nel sostenere una politica di dumping di stato. In ogni contatto normale di lavoro pubblicato in questi anni il Consiglio di Stato non ha perso occasione per definire 3000 franchi (calcolato per 12 mensilità) quale salario di riferimento. E questo anche per professioni relative a settori dove i salari realmente pagati superano i 4000 franchi.
Questo consenso pro-bilaterali, che ha annientato qualsiasi residua capacità di resistenza dei salariati, è saltato un anno fa, con il si all’iniziativa UDC (che oggi sembra fare l’unanimità in seno a quasi tutti i partiti) che chiede la reintroduzione dei contingenti per la manodopera non residente. Il padronato preso atto che le direzione sindacali-partito social-liberale non sono state in grado di contribuire a determinare una maggioranza tra i votanti, ha cambiato strategia. Ora ci si toglie la maschera e nei prossimi anni si giocherà ancora più duro e le conseguenze per i salariati saranno molto dolorose.
È in questa prospettiva la prima mossa è stata la decisione abbandonare la difesa di una soglia minima franco-euro. Solo degli illusi possono credere che questa decisione sia stata presa da 3 funzionari della BNS senza una discussione con settori economici dominanti di questo paese.
Il padronato non ha perso tempo. Nel dibattito politico lanciano rivendicazioni che condizioneranno il dibattito e le scelte del prossimo periodo: riduzione della pressione fiscale per le persone giuridiche, ulteriore deregolamentazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro, aumento dell’età pensionabile, e tanto altro ancora. Nelle aziende tramite una guerra lampo (Blitzkrieg) si stanno tagliando i salari (tramite aumento del tempo di lavoro o riduzione dei salari effettivi).
Una vera e propria controffensiva sociale ha avuto inizio.