La vittoria nel referendum del 5 luglio rappresenta sicuramente un nuovo passo avanti nella lotta contro l’austerità che i salariati, i pensionati, il popolo greco conducono ormai incessantemente da diversi anni. Un’austerità pesantissima (i cui parametri sono stati spesso citati da più parti, dal tasso di disoccupazione al taglio delle pensioni e dei salari, dalla distruzione del sistema sanitario alla diminuzione di un quarto del PIL) che ha messo in ginocchio dal punto di vista economico e sociale la stragrande maggioranza della popolazione.
La paternità di questa politica di austerità è plurima, sia all’interno che all’esterno della Grecia.
Vi sono, prima di tutto, le responsabilità delle classi dominanti greche e dei partiti politici che negli ultimi decenni si sono alternati al governo del paese. Sulla carta “di destra” o “di sinistra”, nei fatti tutti partecipi della stessa logica di corruzione e difesa dei privilegi delle classi dominanti e delle élite politiche ad esse legate.
Abbiamo poi la responsabilità di quelle che oggi, pudicamente, vengono chiamate le “istituzioni”, cioè la Troika, agenti di quel potere politico ed economico al servizio delle classi dominanti internazionali.
Esse sono intervenute a più riprese per “salvare” la Grecia. In realtà, come ormai sanno tutti, hanno salvato le banche internazionali (soprattutto francesi e tedesche, in parte anche italiane) ed hanno continuato ad affossare, imponendo terribili politiche di austerità con il concorso attivo dei maggiori partiti greci, la popolazione greca, la sua economia, i suoi diritti sociali e culturali.
Con il voto di domenica, in condizioni difficili, il popolo greco ha detto basta. Ha detto che non è disposto a sopportare ulteriormente privazioni, diminuzioni di salari e di pensioni, il diffondersi di una terribile povertà. E ha voluto ricordare al governo, con il proprio sostegno, di averlo eletto proprio per andare in una direzione radicalmente diversa rispetto a quella dei governi precedenti.
Naturalmente sappiamo quanto valga, seppur importante, il risultato di una votazione popolare in un regime liberale. Esso non modifica i rapporti di forza in modo fondamentale. Ma può contribuire a sviluppare una politica che cerchi di modificare realmente i rapporti di forza sociali. E, crediamo, che il netto risultato del voto (che ha sorpreso tutti, a cominciare dallo stesso governo Tsipras) significhi soprattutto una domanda di radicale cambiamento nelle politiche che il governo greco ha fin qui condotto, troppo ingessato e bloccato dalle asfissianti trattative impostegli (e in parte subite) dai governi dell’UE.
Il referendum non fa che dare nuovo vigore ad una battaglia che si annuncia lunga e difficile. E nella quale sarà necessario mobilitarsi ancora a sostegno della popolazione greca che, come detto, chiede misure concrete contro i danni passati di una politica di austerità; e che non si rassegnerebbe ad accettare nuove dosi di questa politica (seppur minime) in cambio di una ristrutturazione del debito. Un debito sulla cui formazione la popolazione greca non ha alcuna responsabilità, un debito che non è servito (come spesso si racconta) a “far vivere i Greci al di sopra delle proprie possibilità”, ma che ha obbligato i Greci ad abbassare enormemente il proprio livello di vita, in modo inaccettabile.
Continuiamo a far sentire al popolo greco la nostra solidarietà.