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yanis cartoonNel mio primo commento alla notizia avevo scritto che non avevo una “particolare simpatia per Varoufakis, che non rappresentava certo la sinistra del governo” ma mi preoccupava comunque che la nuova fase di trattative si aprisse “concedendo la sua testa ai vari Juncker o Dijsselbloem”.

Il contesto inquietante era la coincidenza delle sue dimissioni con la riunione di tutti i partiti greci tranne Alba Dorata e KKE, convocata il giorno dopo il voto referendario presso il presidente della repubblica Prokopis Pavlopoulos, che apriva una nuova fase di “unione nazionale”, che poteva essere intravista d’altra parte già nelle prime dichiarazioni di Tsipras la sera stessa del risultato. Pavlopoulos è un membro di Nea Dimokratia, per conto della quale è stato ministro degli interni dal 2004 al 2009, ma era stato proposto già in febbraio proprio da Tsipras come gesto distensivo verso i partiti sconfitti nelle elezioni del 25 gennaio. Fu eletto effettivamente al primo turno il 18 febbraio con una larga maggioranza di 233 su 300, con molte critiche però della sinistra di Syriza, ma senza atti clamorosi di dissenso organizzato.

Oltre a questa singolare coincidenza, che mi fa temere un significato più grave di queste dimissioni suggerite e comunque accettate come se fosse naturale sacrificare un valido esperto alla canea urlante dei servi dei banchieri creditori, a rendermelo più simpatico sono i commenti ignobili che dopo le sue dimissioni continuano a riversarsi su di lui. Prima di tutto senza eccezioni i grandi giornali “indipendenti” continuano a presentare la sua esasperazione per una calunnia infame e pericolosissima (come l’attribuzione senza fondamento al governo e al suo ministero dell’intenzione di prelevare il 30% dai depositi bancari al di sopra degli 8.000 euro), che lo ha portato a definire giustamente questa menzogna “un atto di terrorismo mediatico”, come se avesse voluto offendere gratuitamente e senza motivo dei gentiluomini.
In testa ai calunniatori c’è Tonia Mastrobuoni su “la Stampa” che lo presenta come “Il narciso Varoufakis”, e si sbizzarrisce negli insulti: se ne sarebbe andato in moto e in maglietta “lasciandosi alle spalle le banche al collasso e le finanze pubbliche alla deriva”. L’infame Mastrobuoni non capisce come mai dopo tanti fallimenti la sua popolarità in Grecia sia in aumento. Forse perché – insinua- “nella sua breve esistenza di scamiciato sex symbol” avrebbe “regalato molti titoli scandalistici, altrettanti provocatori, ma pochi fatti. Un libro, quello si, da brava rockstar dei giornali”. Sic!
Squallida. I libri pubblicati da Yanis Varoufakis sono parecchi e seri, anche se solo quattro sono già tradotti in italiano, per il nostro provincialismo, che si è accorto di lui per ultimo. E non sono libri da rockstar. Ma lei non se ne è accorta e non si spiega affatto la sua popolarità. Forse pensa che anche in Grecia piaccia solo per le camicie di cui parlano tanto i media italiani. Lei ci assicura che per questo ci sono delle “groupie” che lo chiamano “Varouficos” o degli invidiosi che lo hanno soprannominato “Fuffakos”.
Con perfetta ignoranza, che la spinge a scrivere due pagine al giorno di “Retroscena” fantasiosi, la Mastrobuoni dice che Varoufakis si è “calato a gennaio in un partito lacerato da lotte di potere” Che disinformazione stupida! Syriza non è “lacerato da lotte di potere”, ma attraversato da un dibattito democratico che nessun partito in Italia oggi conosce. Un partito che discute a volte aspramente, ma che non ha perso un uomo in questi cinque mesi di tormenta e di aggressioni da parte di falsari senza scrupoli. Provate a fare il confronto con l’Italia di oggi, ma anche con quella di ieri e l’altro ieri. Il partito che almeno nel progetto assomigliava di più a Syriza, Rifondazione, aveva messo in piedi fin dall’inizio gruppi parlamentari di grande mediocrità e straordinaria assenza di coerenza e di principi, per cui ha subito almeno tre o quattro scissioni che si portavano via ogni volta un bel pezzo di gruppo parlamentare, ma solo una fetta insignificante degli iscritti della “base”, che non si riconoscevano in quei “dirigenti” paracadutati in parlamento in base alle cordate interne.
Lo stupore che suscitano oggi queste dimissioni, è legato all’assenza di ogni traccia o ricordo di quanto era accaduto più volte in altre circostanze: ad esempio Antonio Giolitti, del PSI, ma di formazione comunista (era stato cacciato dal PCI nel terribile 1956 per aver condannato i carri armati di Budapest), quando si accorse che come ministro del Bilancio nel primo governo di centrosinistra stava presentando un testo in cui qualche solerte funzionario aveva inserito un finanziamento alla scuola privata e confessionale, si dimise subito da ministro.
Risalendo più indietro, mi aveva colpito sempre il commento stupito di Trotskij nello scoprire nel 1917 che un menscevico di sinistra in cui aveva sperato, Nicolas Cheidze, aveva rinunciato alla sua collocazione nella rivoluzione “per un volgare posto di ministro” nel governo provvisorio. Anche Rosa Luxemburg aveva rifiutato nel novembre 1918 l’offerta di un posto nel ministero tedesco emerso dalla rivoluzione, per la sua composizione ambigua. Di deputati o senatori che hanno rifiutato la rielezione, ne conosco diversi, non tutti perché rivoluzionari e anticapitalisti coerenti, ma anche solo per un comprensibile distacco da un ruolo che da dentro appare poco utile. Porto come esempio lo storico Enzo Santarelli che dopo un quinquennio rifiutò la candidatura offertagli di nuovo dal PCI e tornò all’insegnamento.
E qui viene in mente un pensiero che certo non ha sfiorato i mediocri pennivendoli impegnati a denigrare Varoufakis, e neppure quegli ancor più mediocri parlamentari condannati all’impotenza perché non hanno mai avuto un mestiere, prima di quello di portaborse con cui hanno iniziato la carriera: probabilmente per Varoufakis la rinuncia all’incarico di ministro (che non è una fuga, ha spiegato, ribadendo che comunque è stato eletto deputato e rimane in parlamento) è anche un sollievo. Dover discutere con dei meno che mediocri burocratelli che non gli perdonano di aver scritto libri che non riescono neppure a capire (pensate alla faccia da fesso di Dijsselbloem, o a quella di furbetto di Juncker) è assai meno gratificante che tornare a insegnare.
Povero Varoufakis, e pensare che nel complottismo di sinistra c’era perfino chi lo aveva presentato come un agente di Soros, un “cavallo di troia” dell’imperialismo, una quinta colonna nel governo di Tsipras, considerando una colpa perfino la stima reciproca con James Galbraith, anch’egli sospetto “amerikano”, con cui aveva fatto un libro in collaborazione… Ma se avete pazienza, e stomaco, divertitevi pure: https://aurorasito.wordpress.com/2015/01/29/un-cavallo-di-troia-di-soros-nel-governo-di-tsipras/