Dal 17 gennaio, una parte della gioventù tunisina è scossa da esplosioni di colera che in particolare si traducono in manifestazioni, sit-in davanti o all’interno di edifici pubblici, blocchi stradali con l’aiuto di pneumatici incendiati, alcuni saccheggi e anche la morte di un poliziotto.
Le ragioni della collera
Tutto é cominciato a Kasserine, povera città dell’interno del paese dove un giovane disoccupato è morto fulminato il 16 gennaio. Era salito su un pilone elettrico per protestare contro il ritiro arbitrario del suo nome da una lista di nuovi assunti nella funzione pubblica.
Dal giorno dopo, sul posto ci sono stati scontri con la polizia. Questo movimento si è esteso in seguito ad una serie di località e ad alcuni quartieri delle grandi città. Il 22 è stato decretato il coprifuoco tra le 20 e le 5 in tutto il paese. [Sul blog tunisino Nawaat é disponibile una serie di articoli sulle mobilitazioni: “Kasserine: dopo il lutto, la fiammata” del 19 gennaio, “Nessuno potrà calmare la collera della fame” del 21 gennaio, Ridha Yahyaoui, Una penna mi ha ucciso del 22 gennaio]
Le cause di questi movimenti non sono nuove. Da anni migliaia di giovani, spesso titolari di un diploma di insegnamento superiore, reclamano un impiego. Era già accaduto all’epoca della sollevazione del bacino minerario di Gafsa nel 2008, e poi del sacrificio di Mohamed Bouazizi il 17 dicembre 2010, che è stato il segnale dell’inizio della rivoluzione.
Ma cinque anni più tardi, la situazione occupazionale non è cambiata, si è anzi deteriorata. Il numero dei suicidi è in aumento tra i giovani, e periodicamente hanno luogo esplosioni locali di collera. Questo è successo, per esempio, nel 2015 nel sud del paese come nella regione di Gafsa, dove dei giovani disoccupati hanno paralizzato per parecchi mesi il bacino minerario.
Una delle ragioni per le quali la tragedia di Kasserine è stata il punto di partenza di un’ondata nazionale di mobilitazioni, è l’aggravarsi della crisi globale che attraversa la Tunisia.
Accentuando la politica neo-liberista in vigore dal tempo di Ben Ali, il potere è incapace di offrire la più piccola soluzione ai giovani che reclamano lavoro.
Allo stesso tempo Nidaa Tounès, il partito arrivato primo alle lezioni dell’ottobre 2015, è esploso. Uno dei suoi deputati ha paragonato i clan rivali a “una disputa tra galli per un secchio di immondizia”.
Risultato, Ennahdha è ridiventato il primo partito rappresentato all’Assemblea. Con un ministro della Giustizia e un ministro dell’Interno ritenuti vicini a Ennahdha, i dossier sulle atrocità commesse quando questo partito dirigeva il governo nel 2002-2003 non stanno avanzando.
L’assenza di alternativa credibile
Sarebbe tuttavia possibile creare rapidamente migliaia di posti di lavoro durevoli. Per finanziare provvedimenti di questo tipo, il Fronte popolare propone, per esempio, un’imposta eccezionale sui grandi patrimoni, e una moratoria di tre anni per il pagamento del debito, che rappresenta il 18% del bilancio e la principale spesa dello Stato.
Ma il Fronte popolare, che riunisce il grosso delle organizzazioni di sinistra, non dispone che del 7% dei seggi in Parlamento. Inoltre fatica a strutturarsi e a definire una strategia globale all’altezza della posta in gioco.
Diverse associazioni, tra cui la Lega tunisina di difesa dei diritti dell’Uomo (LTDH), hanno lanciato un appello per “l’adozione di un modello economico il cui obiettivo sia la riduzione delle disparità regionali e delle ineguaglianze sociali”, dicendosi “deluse” di fronte all’inazione dei differenti governi.
Da parte sua, l’UGTT si è appellata al governo perché si trovino soluzioni “urgenti ed efficaci” per risolvere rapidamente i problemi della disoccupazione e dello sviluppo nelle regioni svantaggiate. E ha riproposto i progetti alternativi che aveva presentato già ai governi precedenti.
Una solidarietà esitante
Anche se la grande maggioranza della popolazione riconosce la legittimità delle rivendicazioni dei disoccupati, molti sono scioccati dalle violenze commesse in questi giorni. Temono che dei jihadisti si mescolino ai manifestanti per generare il caos. Dopo il trauma causato dalle azioni violente del Daesh in Tunisia, esiste il timore che l’aggravio di compiti per la polizia e l’esercito vadano a detrimento dei loro altri incarichi: la lotta contro le reti e i gruppi islamici o contro il traffico d’armi che proviene in particolare dalla Libia.
Dal canto loro, le organizzazioni giovanili hanno problemi a mobilitarsi. Le riunioni e le manifestazioni di solidarietà organizzate nelle grandi città dall’Unione dei diplomati-disoccupati (UDC) e dall’Unione generale degli studenti della Tunisia (UGET) non hanno mai radunato fino ad oggi più di 300 partecipanti.
Le difficoltà di unità con il movimento operaio organizzato
Come spesso accade in Tunisia, la possibilità di un reale movimento di solidarietà dipenderà largamente dalla posizione del movimento sindacale. Ma su questo piano, niente è facile in questo momento.
Il movimento sindacale esce, infatti, da un anno di intense mobilitazioni per impulso della sinistra dell’UGTT. Esse hanno permesso nel primo semestre una vittoria storica nella scuola secondaria e apprezzabili passi avanti nel resto del settore pubblico, così come in alcune imprese private.
L’ondata di scioperi generali regionali nel settore privato nel secondo semestre è stato, invece, brutalmente interrotto il 25 novembre dopo l’attentato del Daesh a Tunisi.
Dopo mesi di tensione, esiste oggi il rischio che i sindacalisti più combattivi allentino la pressione. Questo accentua in seno all’UGTT il pericolo di un ritorno del pendolo verso la routine e la ricerca di consenso riguardo agli avversari degli interessi dei salariati e dei disoccupati. Il 20 gennaio, in primo piano tra gli invitati alla cerimonia dei 70 anni dell’UGTT, figuravano i portavoce dell’intero panorama politico tunisino, tra cui il Presidente di Ennahdha, e un rappresentante del sindacato padronale UTICA.
Un compromesso al ribasso con il padronato, per esempio, è stato trovato catastroficamente il 9 gennaio a proposito degli aumenti salariali nel settore privato.
Di colpo, la ripresa degli scioperi generali regionali nel settore privato è stata annullata, tra cui quello previsto il 21 gennaio nella regione di Tunisi.