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1. Secondo il Rapporto mondiale sui super-ricchi, in Nicaragua ci sono 210 milionari che attualmente accumulano più ricchezza di quanta nei accumulano sei milioni di nicaraguensi. Un governo progressista dovrebbe garantire che i ricchi paghino le tasse e utilizzare queste entrate per migliorare le condizioni di vita dei più poveri (oltre il 50% della popolazione): acqua potabile, salute e formazione di qualità.

2. Negli ultimi anni (2007-2020), non solo il numero dei milionari è aumentato, ma anche il livello della loro ricchezza; e questo è avvenuto al prezzo di un calo del livello di reddito dei settori popolari (salariati, lavoratori, classi medie e inferiori). Il problema non è tanto il fatto che essi siano milionari, ma che questi “imprenditori” abbiano accumulato la loro ricchezza a spese della maggioranza della popolazione.

3. Nel periodo di crisi profonda che stiamo vivendo, ci sono più milionari che mai in passato. La ricchezza accumulata dai 210 milionari detiene la quota percentuale più alta della ricchezza totale del paese nell’ultimo secolo e, forse, in tutta la storia del Nicaragua. Le 210 persone più ricche possiedono, complessivamente, una fortuna equivalente a quella di quattro milioni di abitanti tra i più poveri.

4. Secondo la Banca Centrale del Nicaragua (BCN), nel quinquennio 2011-2015, il tasso di investimento in capitale fisso (macchinari, attrezzature e costruzioni) è stato in media del 23,69% del PIL, ben al di sotto di un terzo (33,0%), considerato il minimo soddisfacente per i Paesi con economie “attardate”.

5. Gli investimenti privati, che generano occupazione, secondo la BCN sono diminuiti di 11,1 punti percentuali tra il 2007 (25,9%) e il 2014 (14,8%). Cosa ancora più grave, gli investimenti nel comparto “macchinari e attrezzature” sono diminuiti del 26,8%.

6. Gli investimenti diretti esteri hanno rappresentato il 72% del totale degli investimenti di capitale del settore privato, una percentuale che illustra lo scarso “sforzo” compiuto dagli investitori privati del paese. La loro partecipazione ammonta al 28%. In altre parole, il capitale privato ha beneficiato di esenzioni fiscali per stimolare gli investimenti; ma queste misure non si sono tradotte in investimenti. I privilegi fiscali si sono semplicemente tradotti in ulteriore accumulazione di ricchezza privata.

7. Secondo i dati dello Yearbook of Macroeconomic Statistics 2019 della BCN, il tasso di investimento nella formazione lorda del capitale fisso è stato del 28,8% nel 2017 e del 18,4% nel 2019. Ciò significa che, nonostante i benefici ricevuti, gli investimenti privati nella modernizzazione delle imprese agricole e industriali non hanno mai raggiunto il cosiddetto minimo soddisfacente del 33%. Per il grande capitale, la scienza e la tecnologia non hanno un ruolo importante nello sviluppo futuro del Paese.

8. Tra il 1995 e il 2015, l’investimento medio annuo in beni strumentali in Nicaragua ha raggiunto i 456,7 milioni di dollari. Nello stesso periodo, gli investimenti per l’acquisto di macchinari e attrezzi agricoli sono stati pari a soli 39,94 milioni di dollari, ovvero l’8,75% del totale degli investimenti in beni strumentali.

9. Il paradosso è che le campagne (agricoltura e allevamento) sono il settore che genera più lavoro e i prodotti maggiormente esportati, ma è il settore dove si investe meno per aumentare la produttività. La campagna è il più grande fornitore di valuta estera attraverso il caffè, lo zucchero, la carne, il latte, il formaggio, i fagioli, il cacao e altri prodotti di esportazione non tradizionali. Allo stesso tempo, la campagna fornisce il paniere alimentare di base e dà lavoro direttamente a più di 600’000 persone.

10. Gli investimenti fissi lordi e i consumi delle famiglie, due indicatori che riflettono lo stato della domanda interna nell’economia, sono diminuiti per tre anni consecutivi dall’apertura della  crisi, cioè dal 2018 al 2020. Non si prevede una ripresa di questi indicatori nel 2021 – soprattutto per quanto riguarda i consumi – data la recessione e la distruzione di posti di lavoro.

11. Non è vero che la ricchezza degli imprenditori milionari è il risultato della loro capacità di innovazione o che sono in grado di incorporare i progressi tecnologici che migliorerebbero la crescita economica o l’occupazione. I vantaggi straordinari più importanti che hanno ottenuto sono il risultato di riduzioni dei contributi fiscali delle imprese e dei grandi patrimoni.

12. L’origine delle maggiori fortune del Paese non è proprio “merito”, dell’innovazione o di una efficienza, ma è il prodotto, oltre che di fenomeni ereditari, di un potere politico che facilita l’informazione privilegiata e/o emana leggi e regole favorevoli ai loro interessi.

13. Non è vero che vi è un presunto effetto positivo della disuguaglianza e dell’esistenza di persone molto ricche sul resto dell’economia (il cosiddetto “effetto spillover“). Né è vero, come sostiene il dogma neoclassico, che più la ricchezza viene accumulata, più essa si “riversa” in tutti i settori della società (la cosiddetta teoria del “trickle down“).

14. Meno tasse e più disuguaglianze vanno di pari passo con una minore crescita economica e più disoccupazione; per questo non si deve avere nessuna paura l’imposizione fiscale dei milionari, perché ciò non produrrà meno attività o meno posti di lavoro, al contrario.

15. È innegabile che la straordinaria concentrazione di ricchezza verificatasi negli ultimi anni sia stata accompagnata da una diminuzione dell’occupazione, da una forte limitazione dei diritti individuali e sociali, da una riduzione dell’offerta di beni pubblici essenziali e da una maggiore concentrazione dei mercati, e quindi da una maggiore inefficienza. E, allo stesso tempo, da una sempre più grande ingiustizia e minor democrazia: infatti perché questo accaparramento concentrato della ricchezza ha aumentato il potere di coloro che possono decidere tutto al di fuori della politica istituzionale attraverso il controllo che esercitano sui partiti e sui poteri dello Stato.

16. Il settore affaristico (il grande capitale) ha sempre vissuto ed è sempre stato redditizio grazie al suo rapporto con il governo, qualunque esso sia. Aspetta il richiamo del potere politico del momento, per offrirgli il tanto atteso SÌ, a tal punto da potersi vantare in seguito di quanto è stato fatto. Quello che vogliono è preservare il loro patrimonio e cercare, con l’aiuto del governo, di incrementarlo al massimo, anche schiacciando tutti coloro che si trovano di fronte a lor; in altre parole, aumentando il tasso di sfruttamento dei lavoratori. Cosa altro ci si può aspettare da un rappresentante del grande capitale, che per di più non vive nemmeno nel paese, perennemente assenteista?

17. Una lotta democratica consiste nel riuscire a fare in modo che i 210 milioni di milionari che dominano il Paese siano costretti a partecipare al “mantenimento” della società. Una tale lotta significa quindi neutralizzare e punire i loro abusi di potere, perseguire e punire la corruzione presente in seno al governo, punire l’arricchimento “inspiegabile“, ecc. Tutto questo non è nemmeno un obiettivo politico o ideologico, ma un imperativo etico che deve essere difeso da ogni persona consapevole, sensibile e onesta per il futuro del Paese e delle generazioni future.

18. Un governo democratico deve attuare un nuovo modello di sviluppo multidimensionale basato su un rapporto tra mercati interno ed esterno che si rafforzino vicendevolmente. La logica di fondo è quella di guidare la trasformazione del paese da un’economia basata sulle esportazioni e sugli investimenti esteri ad un’economia in cui la domanda interna giochi un ruolo decisivo.

*articolo apparso sul sito www.alencontre.org il 24 dicembre 2020. La traduzione è stata curata dal  segretariato MPS