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Se in passato avete già sofferto di mal di mare, la parola “stabile ” potrebbe essere l’ultima parola che associate all’oceano. Tuttavia, con l’aumento delle temperature globali, gli oceani del mondo stanno diventando tecnicamente più stabili.
Quando gli scienziati parlano della stabilità degli oceani, si riferiscono al grado di mescolanza dei diversi strati del mare tra loro. Un recente studio ha analizzato oltre un milione di campioni ed ha scoperto che negli ultimi cinque decenni la stabilità degli oceani è aumentata a una velocità sei volte superiore a quella prevista dagli scienziati.
La stabilità degli oceani è un importante regolatore del clima globale e della produttività degli ecosistemi marini che nutrono gran parte della popolazione mondiale. Controlla il modo in cui il calore, il carbonio, i nutrienti e i gas disciolti vengono scambiati tra gli strati superiori e inferiori dell’oceano.
Quindi, se un oceano più stabile può sembrare idilliaco, la realtà è meno confortante. Questo perché lo strato superiore potrebbe intrappolare più calore e contenere meno nutrienti, il che avrebbe un enorme impatto sulla vita oceanica e sul clima.

Come gli oceani fanno circolare il calore

Le temperature superficiali degli oceani sono sempre più fredde man mano che ci si allontana dall’equatore verso i poli. È un punto semplice, ma ha enormi implicazioni. Poiché la temperatura, la salinità e la pressione controllano la densità dell’acqua di mare, ciò significa che anche la superficie dell’oceano diventa più densa man mano che ci si allontana dai tropici.
La densità dell’acqua di mare aumenta anche con la profondità, poiché la luce solare che riscalda l’oceano viene assorbita in superficie, mentre l’oceano profondo è costituito d’acqua fredda. La variazione di densità con la profondità è chiamata “stabilità” dagli oceanografi. Più velocemente la densità aumenta con la profondità, più stabile è l’oceano.
È utile immaginare che l’oceano sia diviso in due strati, ciascuno con un diverso livello di stabilità. Lo strato superficiale misto occupa i primi 100 metri (circa) dell’oceano ed è il luogo in cui calore, acqua dolce, carbonio e gas disciolti vengono scambiati con l’atmosfera. Le turbolenze causate dal vento e dalle onde sulla superficie del mare mescolano tutta l’acqua. Lo strato più basso è chiamato abisso. Si estende da poche centinaia di metri di profondità fino al fondo del mare, questo strato è freddo e scuro e delle deboli correnti fanno circolare lentamente la sua acqua intorno al pianeta che rimane isolata dalla superficie per decenni, anche secoli.
La separazione tra l’abisso e lo strato superficiale misto è chiamato picnoclino. Possiamo immaginarlo come uno strato di pellicola trasparente (o Saran Wrap). È invisibile e flessibile, ma impedisce all’acqua di attraversarlo. Quando il sottile strato viene fatto a pezzi, cosa che accade nell’oceano quando la turbolenza abbatte il picnoclino, l’acqua può fluire in entrambe le direzioni. Ma quando le temperature globali aumentano e lo strato superficiale dell’oceano assorbe più calore, il picnoclino diventa più stabile, rendendo più difficile per l’acqua mescolarsi tra la superficie dell’oceano e l’abisso. 
Perché questo è un problema? Ebbene, c’è un nastro trasportatore invisibile dell’acqua di mare che sposta l’acqua calda dall’equatore ai poli, dove si raffredda e diventa più densa, facendola affondare, tornando all’equatore in profondità. Durante questo viaggio, il calore assorbito dalla superficie dell’oceano viene trasferito nell’abisso, contribuendo a ridistribuire il carico termico dell’oceano, accumulato in un’atmosfera che si sta riscaldando rapidamente a causa delle nostre emissioni di gas.
Se un picnoclino più stabile intrappola più calore sulla superficie dell’oceano, potrebbe interrompere l’efficienza con cui l’oceano assorbe il calore in eccesso ed esercitare pressione sugli ecosistemi sensibili di acque poco profonde come le barriere coralline.

Una maggiore stabilità si traduce in scarsità delle sostanze nutritive

E proprio come la superficie dell’oceano contiene calore che deve essere miscelato verso il basso, l’abisso contiene un enorme serbatoio di sostanze nutritive che devono essere miscelate verso l’alto.
Gli elementi costitutivi della maggior parte degli ecosistemi marini sono il fitoplancton: alghe microscopiche che usano la fotosintesi per produrre il proprio cibo e assorbire grandi quantità di CO2 dell’atmosfera, producendo la maggior parte dell’ossigeno del mondo. Il fitoplancton può prosperare solo se c’è abbastanza luce e sostanze nutritive. In primavera, con l’insolazione, le giornate più lunghe e i venti più leggeri permettono che un picnoclino stagionale si formi vicino alla superficie. Tutti i nutrienti disponibili intrappolati sopra questo picnoclino vengono rapidamente consumati dal fitoplancton che prospera in quella che viene chiamata fioritura primaverile.
Affinché il fitoplancton di superficie continui a prosperare, i nutrienti dell’abisso devono passare attraverso il picnoclino. Ed è così che sorge un altro problema. Se il fitoplancton viene privato di sostanze nutritive da un picnoclino potenziato, c’è meno cibo per la stragrande maggioranza della vita oceanica, a partire dai minuscoli animali microscopici che mangiano le alghe e dai pesciolini che le mangiano, fino agli squali e alle balene.
Proprio come un oceano più stabile è meno efficiente nello spostare il calore verso le profondità e nel regolare il clima, è anche meno efficiente nel mantenere le reti alimentari dinamiche e vibranti della superficie soleggiata da cui la società dipende per il cibo.

Dovremmo essere preoccupati?           

La circolazione oceanica è in continua evoluzione in risposta alle variazioni naturali e ai cambiamenti indotti dall’uomo. La crescente stabilità del picnoclino è solo una parte di un puzzle estremamente complesso che gli oceanografi si stanno sforzando di risolvere.
Per prevedere i cambiamenti futuri del nostro clima, utilizziamo modelli digitali dell’oceano e dell’atmosfera che devono includere tutti i processi fisici responsabili della loro evoluzione. Il problema è che non abbiamo computer abbastanza potenti che possano includere gli effetti di processi turbolenti su piccola scala in un modello che simuli le condizioni su scala globale.
Sappiamo, tuttavia, che l’attività umana ha un impatto maggiore del previsto sugli aspetti fondamentali dei sistemi del nostro pianeta. E le conseguenze potrebbero non piacerci.

*Phil Hosewood è professore associato di oceanografia fisica presso l’Università di Plymouth. Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista The Conversation, il 7 aprile 2021, ripreso da Climate & Capitalism il 10 aprile 2021; traduzione a cura del segretariato MPS.