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Pubblichiamo l’intervento di Angelica Lepori, a nome del gruppo MPS-POP-Indipendenti in Gran Consiglio, contrario alla creazione del cosiddetto “Centro educativo chiuso per minorenni (CECM)” (Red)

Recentemente Fulvio Poletti, pedagogista, commentava così la discussione attorno all’apertura del centro chiuso per minorenni “esso costituisce una sorta di fallimento della dimensione pedagogico-educativa: sconfitta o prevaricata da una logica di “contenimento” rassicurante (per chi?) del “disturbo” attraverso il ricorso a una struttura improntata alla “chiusura” e a una forma di istituzionalizzazione ‘forte’ o ‘pesante’ (qualcuno potrebbe, per certi versi, riconoscervi i tratti delle cosiddette “istituzioni totali”)”.
Ci sembrano parole molto chiare che fanno da sfondo alla nostra decisione di non sostenere questo progetto.
Non vogliamo certo negare l’esistenza del disagio giovanile, le cui forme e manifestazioni si sono aggravate a seguito della crisi pandemica, e nemmeno negare l’esigenza di intervenire in questo ambito, anzi riteniamo assolutamente fondamentale e importante rafforzare le politiche di sostegno alla gioventù e di lotta al disagio giovanile.
La risposta che oggi però si vuole dare va nella direzione sbagliata. Anche gli altri cantoni della Svizzera stanno ripensando e rimettendo in discussione questo tipo di intervento, anche perché le misure di privazione della libertà sembrano avere come conseguenza un aumento della recidiva e non dare grandi risultati dal punto di vista della riabilitazione.
Il fatto che si sia cambiato il nome al centro e che si sia tolto il riferimento esplicito alla contenzione non è sufficiente per cambiare la logica di fondo del progetto che comunque si basa essenzialmente sulla privazione della libertà e sulla repressione.

Prigione pubblica o privata?

Siamo inoltre chiamati a votare la costruzione di un centro per minorenni senza conoscerne il progetto pedagogico e il suo funzionamento. Sappiamo che la gestione del centro dovrebbe essere affidata alla fondazione Vanoni. Non è però dato di sapere con quali criteri e su quali basi sia stata scelta questa fondazione che, è bene ricordarlo, recentemente ha denunciato alcuni giovani e giovanissimi che avevano simbolicamente occupato uno stabile (vuoto) di sua proprietà avallando di fatto un’operazione di repressione da parte della polizia.
L’emendamento del Partito socialista che pone quindi la necessità di affidare allo stato la gestione diretta di questo centro ha una sua validità e pertinenza. Ci siamo sempre schierati contro la politica dei mandati di prestazione e siamo favorevoli alla gestione pubblica dei servizi. Gestione pubblica che per noi rappresenta, in generale, una maggiore garanzia per il loro funzionamento sia in termini di qualità del servizio erogato che in termini di condizioni di lavoro. Il mandato pubblico garantisce inoltre un maggiore controllo.
Detto questo il progetto di centro chiuso, che sia pubblico o privato, è comunque inaccettabile. Si tratta per riprendere le parole di Poletti di “una scommessa, un po’ pretenziosa o presuntuosa, che il passaggio di tre mesi dentro le mura “rassicuranti” (per tutti noi, vale a dire “per chi sta fuori”) del Centro in questione possa condurre alla normalizzazione del soggetto deviante e riportarlo sulla retta via, pronto a rientrare in società o in qualche altro istituto meno “contenitivo”.
In questo senso la questione della proprietà, seppur importante, diventa secondaria rispetto all’esigenza stessa di questa struttura.
Per questo ci asterremo sull’emendamento PS, pur condividendone le logica di fondo, non condividiamo la sostanza del progetto: certo meglio una prigione pubblica che una privata, ma per noi in questo caso sicuramente sarebbe meglio rinunciare a qualsiasi progetto di prigione sia privata che pubblica.

“Casi difficili”

Il centro dovrebbe accogliere i cosiddetti “casi difficili’, giovani in rottura con la famiglia e con la società, che non possono vivere a casa e nemmeno in altri istituti per minorenni. C’è da chiedersi sulla base di quali criteri si possano valutare come “difficili’ questi ragazzi ma, ancor di più c’è da chiedersi come sia possibile che si arrivi a queste situazioni, non è possibile intervenire prima? Sappiamo che i CEM hanno liste di attesa molto lunghe e spesso di arriva a istituzionalizzare quando la situazione è già molto compromessa, sappiamo poi che mancano servizi intermedi, di prevenzione, di prossimità e di sostegno alle famiglie e alla genitorialità. Sono carenti poi quei servizi che possono aiutare i ragazzi e le ragazze a orientarsi e trovare il loro percorso formativo o professionale. 
Ci chiediamo inoltre se per questi cosiddetti “casi difficili’ sia davvero utile un intervento contenitivo o non ci sia il rischio che proprio queste misure generino ulteriore rabbia e frustrazione aumentando il rancore e generando un totale rifiuto di essere aiutati.
Nel progetto si dice poi che alcuni posti del centro saranno riservati a giovani che devono espiare delle pene minori, si assicura che questi giovani non entreranno in contatto con gli altri casi difficili, ma non si capisce come questo sia possibile in una struttura molto piccola a meno di non sottoporre i giovani che devono espiare delle pene in un regime di isolamento totale, procedura che evidentemente non ha nulla a che vedere con l’idea di una pena riparativa o educativa.

Ci sono altre priorità

In conclusione riteniamo che il progetto presentato non sia la soluzione alla questione del disagio giovanile in Ticino e non sia una priorità in questo momento.
Le priorità oggi sarebbero altre innanzitutto rafforzare le strutture già esistenti e soprattutto potenziare i servizi di sostegno alle famiglie e di prossimità (centri giovanili, servizi diurni, sportelli di aiuto ecc.) Inoltre in Ticino c’è una carenza strutturale di posti per le cure pedo-psichiatriche. Mancano servizi ambulatoriali per la presa a carico di giovani con disturbi psicologici e psichiatrici, mancano comunità terapeutiche multidisciplinari (oggi i giovani vengono spesso mandati in Italia con costi elevati per lo stato). Crediamo che oggi queste siano le priorità e che in questo ambito si debba investire.