Credo di non essere stato il solo a considerare le più che evidenti differenze tra quel che è accaduto in Italia e quel che sta accadendo in Francia.
Entrambi i paesi sono stati investiti negli ultimi decenni da una pesantissima controrivoluzione neoliberale. Le classi dominanti non sono affatto legate alle “tradizioni nazionali”. Le loro politiche di fondo sono le medesime a tutte le latitudini e in tutti i continenti. Tanto più lo sono in due paesi storicamente molto legati e comunque sottoposti entrambi alle politiche economiche dell’Unione europea.
I governi francesi e italiani di ogni colore hanno puntato a privatizzare tutto il privatizzabile, a smantellare i servizi pubblici, a destrutturare le tutele sociali, a partire dalla previdenza. E qui risalta una chiara differenza. In questa opera di devastazione la classe dominante francese è parecchio più indietro di quella nostrana. E non certo perché oltralpe la Repubblica sia più “sana”, né perché la Costituzione francese sia più politicamente e socialmente garantista. Anzi, la Costituzione della Quinta Repubblica, quella imposta da De Gaulle dopo il colpo di stato del maggio 1958, ha un’indubbia fisionomia più autoritaria e più centralista di quanto sta scritto nella nostra del 1948.
Né perché il minore indebitamento dello stato francese rispetto a quello italiano consenta una politica meno restrittiva e più “sociale”.
La differenza si basa sui diversi rapporti di forza che il movimento operaio francese, le sue organizzazioni sindacali e la sinistra transalpina hanno saputo difendere rispetto ai clamorosi e disastrosi cedimenti che invece ha conosciuto il movimento operaio italiano durante gli ultimi quarant’anni.
I sindacati italiani, nonostante la loro forza organizzativa (11 milioni di iscritti, almeno sulla carta, a fronte dei soli 2 milioni di aderenti ai sindacati francesi), hanno cominciato a condividere le tesi neoliberali già nella seconda metà degli anni 70, con la “scelta dell’Eur” e la considerazione del fatto che gli andamenti salariali dovevano adattarsi all’andamento delle imprese e alla complessiva competitività dell’economia “nazionale”.
Non che i dirigenti sindacali francesi non abbiano anch’essi accettato le nuove regole dettate dalla globalizzazione capitalistica. Ma, certo, hanno, chi più chi meno (di più la CGT, di meno la CFDT), sentito la pressione della loro base e adottato comportamenti meno arrendevoli e meno collaborazionisti.
Lo stesso “sindacalismo di base” francese ha avuto una storia completamente diversa da quella del sindacalismo “alternativo” italiano: infatti si è quasi interamente raccolto nell’organizzazione SUD-Solidaires (circa 110.000 iscritti), conosce in misura molto minore la concorrenzialità tra le diverse sigle che travaglia i sindacati di base italiani, e pratica sistematicamente l’unità d’azione intersindacale con le altre organizzazioni, compresa la “moderatissima” CFDT.
I risultati di tutto ciò li abbiamo potuti constatare giusto un anno fa nel corso dello straordinario movimento in difesa del sistema pensionistico transalpino che ha scosso la società francese per mesi e ha costretto il governo Macron a far approvare la sua controriforma previdenziale attraverso un’antidemocratica forzatura istituzionale.
Certo, la controriforma è comunque passata, ma il colossale movimento che è sceso in piazza per decine di volte in tutto il paese ha sedimentato nella coscienza delle lavoratrici e dei lavoratori le responsabilità capitalistiche nel peggioramento delle tutele.
Com’è noto, in Italia, la raffica di controriforme delle pensioni sono tutte passate con la connivenza delle organizzazioni sindacali o al massimo, come in occasione della legge Fornero del 2011, con una loro presa di distanza del tutto formale e innocua, così come è accaduto anche in occasione della distruzione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Oggi le organizzazioni sindacali francesi, dopo il successo delle liste di destra alle europee del 9 giugno (40% tra le due liste di estrema destra), sono scese decisamente in campo, cosa che non è accaduta affatto in Italia, dove hanno guardato all’insediamento della postfascista Giorgia Meloni a Palazzo Chigi come ad un “normale avvicendamento”. Tanto che il gruppo dirigente della Cgil, il sindacato che ormai del tutto abusivamente si richiama alla tradizione e alla cultura della sinistra, ha avuto la grottesca idea di invitare la stessa Giorgia Meloni a prendere la parola al suo congresso dello scorso anno, per “ascoltare che cosa aveva da dire”.
Invece, nella Francia investita dal terremoto della vittoria dell’estrema destra alle europee e dello scioglimento immediato del parlamento da parte di Macron, i sindacati francesi (CGT, CFDT, FSU, UNSA e Solidaires) hanno fatto appello ad un “risveglio democratico e sociale” contro le politiche governative e contro le minacce dell’estrema destra, rivendicando l’abrogazione della riforma delle pensioni e l’abbandono di quella che smantella il meccanismo dell’indennità di disoccupazione, la difesa dei nostri servizi pubblici, della scuola, della ricerca, della sanità, e del sistema giudiziario, per la giustizia fiscale e per quella ambientale, per la parità retributiva contro la violenza sessuale e sessista, per la regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri…
La CGT, dal suo canto, ha anche auspicato “l’unità della sinistra per evitare la catastrofe annunciata organizzata da Emmanuel Macron e da Marine Le Pen”, quell’unità che si è realizzata nella formazione del “Nuovo Fronte Popolare”, a cui hanno aderito anche le compagne e i compagni del NPA, dichiarando che “La sfida del nostro campo sociale è recuperare la leadership in un contesto di tante policrisi (economica, sociale, democratica ed ecologica), che si combinano e si amplificano. È fondamentale che tutta la sinistra – i partiti, i sindacati e tutte le organizzazioni del movimento operaio – si incontrino e si mobilitino attorno ad un programma chiaro che ci permetta di formare un fronte comune … un programma volto a migliorare le condizioni sociali delle classi popolari e a difendere i diritti e le libertà democratiche”.
La costruzione di questo “fronte comune” non è stata facile, viste le divisioni che si erano prodotte dopo le elezioni del 2022 nelle quali la NUPES, raccolta attorno a La France Insoumise, si era affermata come la principale lista di opposizione a Macron. Il PCF, i Verdi, e il “rinato” Partito socialista, acquisiti i deputati che la NUPES gli aveva garantito, si erano ritenuti liberi di scatenare un fuoco di sbarramento contro LFI e contro Mélenchon.
Ma, evidentemente, la catastrofe razzista e reazionaria che i risultati delle europee facevano presagire ha fatto prevalere il buon senso, assieme alla straordinaria pressione dal basso verso l’unità d’azione espressa dalle grandi manifestazioni semispontanee che si sono ripetute a Parigi e in numerose altre città e perfino in tanti piccoli centri fin dalla sera stessa del 9 giugno.
Questa mobilitazione, con le centinaia di migliaia di dimostranti in piazza in tutto il paese sabato 15 e con la manifestazione femminista contro l’estrema destra indetta per domenica 23, non esprime solo una sana reazione antifascista di fronte alla crescita dell’estrema destra, ma anche il bisogno di farla finita con la politica di austerità di Macron, e di farlo costruendo una vera unità politica e sociale.
Si tratta anche qui dell’espressione della forza sociale e politica che si è accumulata un anno fa con la straordinaria lotta sulle pensioni e che, appunto, nonostante la sconfitta, riemerge ora nel nuovo contesto politico ed elettorale.
I sondaggi, si sa, possono essere ingannevoli, ma tutte le varie fonti collocano, almeno per il momento il NFP in seconda posizione dietro i candidati di Le Pen e Bardella, con quelli macroniani in terza posizione. Le elezioni, in Francia, sono a doppio turno, e, dunque, nei collegi nei quali nessun candidato verrà eletto al primo turno del 30 giugno (perché nessuno ha raccolto più del 50%) la partita vera potrebbe svolgersi il 7 luglio, quando anche gli elettori “macroniani” potrebbero essere chiamati a scegliere tra il candidato postfascista e quello di sinistra.
I sondaggi dicono anche che “un francese su due” teme l’avvento di un governo di estrema destra.
La straordinaria mobilitazione a favore dell’unità della sinistra, che si è espressa in particolare nei quartieri delle periferie popolari delle grandi città della Francia, ora tende a trasformarsi in una mobilitazione a sostegno del successo elettorale del NFP e mostra che la vittoria dell’estrema destra non è scontata.
Non a caso la campagna elettorale dell’estrema destra non mette al centro le critiche a Macron, ma attacca soprattutto e frontalmente il programma del NFP, usando a piene mani lo strumento della paura, della paura di un “salto nel vuoto”. Un salto nel vuoto che non sarebbe costituito da un governo postfascista ma piuttosto da un accesso al potere di una sinistra che porterebbe “il paese nel caos”, tanto che Jordan Bardella ha dichiarato che il NFP è il suo “principale avversario”.
Il programma del NFP, definito Contratto di legislatura (qui il testo integrale in francese) che i partiti di sinistra hanno rapidamente messo a punto, è un “programma di emergenza”, articolato in tre fasi: quella della “rottura” (da attuare nel primi 15 giorni), poi quella delle “biforcazioni” (da attuare entro i primi 100 giorni), e poi la fase delle “trasformazioni” da attuare nei cinque anni di mandato.
Pur nel suo taglio riformista radicale, il programma è molto ambizioso perché il NFP, in caso di successo, prevede di “decretare uno stato di emergenza sociale” appena insediato al governo e di adottare “20 azioni rivoluzionarie per rispondere all’emergenza sociale, alla sfida climatica, alla necessità di riparare i servizi pubblici e a un percorso di pace in Francia e nel mondo”: bloccare i prezzi dei beni essenziali alimentari e energetici, abrogare la controriforme del governo sulla previdenza, sull’indennità di disoccupazione e sull’immigrazione, aumentare la pensione minima e il salario minimo (a 1.600 euro netti), e le retribuzioni dei tirocinanti, degli apprendisti e degli studenti in formazione, decretare una moratoria sulle grandi opere, rilanciare la costruzione di alloggi sociali, approvare misure in direzione di “salvare il sistema ospedaliero pubblico” e di rivalutare il lavoro notturno e festivo del personale ospedaliero, ripristinare il “ruolo emancipatore della scuola pubblica” per arrivare a renderla completamente gratuita e preservare la libertà educativa, limitando le dimensioni delle classi a un massimo di 19 alunni e aumentando le retribuzioni del personale scolastico, ripristinare la pace nella Nuova Caledonia, rifiutare i vincoli di austerità del patto di bilancio e proporre una riforma della Politica Agricola Comune (PAC).
Quanto alla Palestina, superando le diverse valutazioni sui fatti del 9 ottobre 2023, nel programma si denunciano “i massacri terroristici di Hamas”, si chiedono “un cessate il fuoco immediato a Gaza e il rispetto dell’ordine della Corte internazionale di giustizia (CIG), che fa riferimento senza ambiguità a un rischio di genocidio”, il riconoscimento “immediato” dello stato di Palestina “accanto allo stato di Israele”.
Quanto alla guerra russo-ucraina, si rivendica l’alt alla “guerra di aggressione di Vladimir Putin, per costringerlo a rispondere dei suoi crimini davanti alla giustizia internazionale: difendere incrollabilmente la sovranità e la libertà del popolo ucraino e l’integrità dei suoi confini, consegnando le armi necessarie, cancellando il debito estero, sequestrando i beni degli oligarchi che contribuiscono allo sforzo bellico russo nel quadro consentito dal diritto internazionale, inviando forze di pace per mettere in sicurezza le centrali nucleari, in un contesto internazionale di tensione e guerra nel continente europeo, e lavorando per il ritorno della pace”.
Viene denunciata la “preoccupante esplosione di atti razzisti, antisemiti e islamofobici”. Ci si impegna a reintrodurre una “tassa di solidarietà sul patrimonio con una componente climatica”, a “tassare i più ricchi a livello europeo per aumentare le risorse proprie del bilancio dell’Unione Europea” e “generalizzare la tassazione dei super-profitti a livello europeo”.
Il NFP fa propria la parola d’ordine della France Insoumise della “convocazione di un’assemblea costituente” per abrogare il potere di decretazione del presidente della Repubblica (quello usato da Macron per far passare la riforma previdenziale senza l’approvazione del parlamento) e ripristinare una legge elettorale proporzionale.
Il programma (evidentemente per un sotterraneo gioco di veti incrociati dei diversi partiti) elude la questione dell’energia e del nucleare e, soprattutto, non chiarisce chi sia il candidato ad assumere, naturalmente in caso di successo, la carica di presidente del consiglio dei ministri.
In ogni caso il programma del NFP contiene misure che potranno essere attuate non solo disponendo di una maggioranza parlamentare ma anche e soprattutto se si creerà attorno ad esse un fortissimo sostegno di massa e una straordinaria mobilitazione sociale, per contrastare l’inevitabile opposizione da parte dei “mercati”, delle associazioni padronali, dei mass media, e di tutto l’establishment capitalista.
Un grosso problema politico, che non va trascurato (e fanno bene le compagne e i compagni del NPA-L’Anticapitaliste, che pure sostengono il NFP, a metterlo in risalto nei loro comunicati) è l’ingombrante e contraddittoria presenza dell’ex presidente social-liberale François Hollande, a suo tempo mentore dello stesso Emmanuel Macron, che fu suo ministro dell’Economia. E “ingombrante” è la complessiva presenza nel NFP di quel che resta del Partito Socialista (PS) e del suo apparato amministrativo e elettorale, responsabile negli ultimi decenni di aver applicato politiche neoliberiste e antipopolari, nel quadro della tradizionale alternanza al potere tra destra e “sinistra”.
In ogni caso, quanto sta accadendo Oltralpe, seppure in una situazione di gravissima minaccia conseguente all’estensione dei governi postfascisti o comunque di estrema destra (dopo l’Italia, la Svezia, l’Ungheria, l’Olanda, l’Austria anche in Francia), mostra l’esistenza di un potenziale di sinistra allo stato attuale totalmente assente in Italia.
In Francia, a differenza di quanto è accaduto nel nostro paese, si è prodotta una straordinaria mobilitazione politica e sociale, non solo in queste settimane in reazione alla vittoria dell’estrema destra nelle europee, ma già nei mesi e negli anni scorsi contro le politiche neoliberiste di Macron. Dunque la dinamica politica che ha portato alla creazione del NFP (cosa che d’altra parte risponde positivamente anche se in maniera indiretta a quanto auspicato da lungo tempo dal NPA-L’Anticapitaliste, con la sua campagna “per l’unità nelle piazze e nelle urne”) è una cosa la cui rilevanza va ben al di là della Francia perché scongiurare l’esito annunciato di un ennesimo successo dell’estrema destra, per di più in un paese cruciale come la Francia, costituirebbe comunque un forte elemento di forte controtendenza politica e sociale.
Dunque, il fatto che una dinamica simile sia totalmente assente qui in Italia non significa che possiamo ignorare quanto avviene oltre le Alpi né che dobbiamo solo osservarlo. La scelta unitaria, la radicalità dell’impostazione, un programma il cui obiettivo non è solo quello di sbarrare la strada al neofascismo, ma è soprattutto quello di invertire le politiche sociali, economiche, ambientali e militaristiche di Macron, che sono individuate come il contesto che ha aperto la strada alla crescita dell’estrema destra francese, e di praticare un’esplicita rottura con il patto di stabilità dell’Ue, dovrebbero essere tutte indicazioni di riflessione e di ripensamento per l’intera sinistra europea e, in particolare, per quella italiana.
Una sinistra, che oggi è chiamata a promuovere da subito e per tutte le prossime due settimane (e poi, se la prima dinamica darà i suoi frutti, anche nella settimana successiva che prepara i ballottaggi) iniziative di solidarietà e di sostegno alla campagna elettorale del Nuovo Fronte Popolare.
*Sinistra Anticapitalista