Alla fine Sabrina Aldi lascia il Gran Consiglio e la Lega dei Ticinesi, mentre Eolo Alberti verrà espulso. Nella lunga intervista che il sempre compiacente Corriere del Ticino le mette a disposizione per poter esporre la “sua” verità, il maggior spazio è dedicato ad affermare che il presidente del Consiglio di Stato (e già coordinatore della Lega) Norma Gobbi è un bugiardo. Avrebbe raccontato al Procuratore Generale un sacco di fandonie. Se lo dice lei…
Uno spettacolo penoso quello che emerge in questi giorni a seguito della interrogazione dell’MPS che ha messo sul tavolo cose che tutti sapevano perfettamente, ma che tutti – o quasi – per mesi hanno preferito far finta di non sapere o dimenticare.
Siamo di fronte a consolidate strategie per cercare di sviare l’attenzione sui veri protagonisti delle decisioni, coloro che sono al posto di comando: “sacrificando” per strada i “sacrificabili”, certo responsabili di quanto avvenuto, ma non certo i soli responsabili. Un meccanismo che vuole evitare di mettere sotto accusa una gestione politica complessiva (quella della Lega e dei suoi dirigenti) scaricando le responsabilità solo su alcuni. “Fare pulizia” per dimostrare che il corpo è sano e può continuare come se nulla fosse.
Ancora una volta i deputati dell’MPS ci hanno visto giusto.
Non siamo contrari al finanziamento pubblico che il Gran Consiglio deciderà nei prossimi giorni per il Festival di Locarno. Tuttavia, appare sempre più evidente che questa manifestazione stia cambiando natura, e gli effetti negativi di tale trasformazione emergeranno tra qualche anno.
Ad esempio, il Festival ha recentemente “ottimizzato” il proprio personale, senza che il potere politico mostrasse significative reazioni. In ottobre, sono stati licenziati 4 dei 40 dipendenti: il 10% dell’organico. Una cifra modesta in assoluto, ma significativa, lo stesso taglio percentuale che Lega e UDC propongono per l’amministrazione cantonale. Eppure, secondo laRegione, durante la recente visita della commissione della gestione, “il tema non ha suscitato particolari reazioni”.
Un segnale chiaro della logica che si va affermando al Festival, dove la presidenza Hofmann rappresenta un nuovo orientamento improntato ad una logica mercantile, ispirata al “modello Roche”, la multinazionale di cui Maja Hoffmann è importante azionista.
Da settimane ormai siamo costretti ad ascoltare – nei dibattiti, negli articoli e nelle interviste – le opinioni dei cosiddetti “rappresentanti dell’economia”, impegnati in una martellante offensiva contro il debito e la spesa pubblica. In realtà, si tratta dei rappresentanti delle varie organizzazioni padronali (AIT, Camera di Commercio, ecc.), i quali, complice una certa leggerezza dei media, non vengono quasi mai presentati per quello che realmente sono: portavoce del padronato e dei suoi interessi particolari. Al contrario, vengono sistematicamente descritti come se parlassero a nome dell’“economia” in quanto tale.
Non è solo una questione terminologica, ma politica e sostanziale. Se davvero fossero loro i rappresentanti dell’economia, vorrebbe dire che rappresentano gli interessi di tutte e tutti, poiché l’economia siamo noi: lavoratrici e lavoratori, consumatrici e consumatori; senza dimenticare che sono i salariati e le salariate, con il loro lavoro, la fonte della ricchezza prodotta dall’”economia”.
Una buona parte dei media accetta passivamente questo gioco di rappresentazione, contribuendo a diffondere l’idea che le istanze del padronato coincidano con l’interesse generale. In questo modo si conferisce un’aura di autorevolezza e responsabilità a chi, in realtà, è mosso unicamente dal desiderio di mantenere – o aumentare – i propri margini di profitto, in particolare attraverso una riduzione dell’onere fiscale facilitato dalla diminuzione dei compiti dello Stato.
La “neutralità” sbandierata dal nostro Paese e dal suo governo serve, di fatto, a proteggere e tutelare gli interessi delle aziende svizzere, tanto sul territorio nazionale quanto all’estero. Essa è funzionale a evitare che la Svizzera prenda posizione o condanni politiche, pratiche e atteggiamenti di Stati che violano i diritti umani, il diritto internazionale e i più elementari principi della convivenza civile.
È stato così, ad esempio, nella prudenza con cui sono state applicate le sanzioni contro la Russia; era già accaduto in passato quando si chiedeva di interrompere le relazioni economiche e commerciali con il Sudafrica dell’apartheid; e accade oggi con Israele, con la reticenza a una condanna esplicita e con la continuità delle relazioni economiche e diplomatiche, nonostante quanto sta accadendo a Gaza.Ma c’è di più.
Scopriamo che la Gaza Humanitarian Foundation – alla quale Trump e Netanyahu vorrebbero affidare, sotto controllo militare, la gestione centralizzata di quattro futuri punti di distribuzione di aiuti a Gaza – risulta registrata come fondazione benefica a Ginevra.
Smettiamola, dunque, con la favola dei “buoni uffici”, che serve solo a giustificare e propagandare una delle pratiche più ipocrite della storia recente di questo Paese.